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Dylan Dog n. 372: Il bianco e il nero – Recensione

Stefano Dell'Unto 06/09/2017

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Inquietanti macchie nere appaiono davanti agli occhi di Dylan Dog fino a sprofondarlo in un mondo di tenebra abitato da creature terrificanti e presieduto dall’Uomo Nero. L’indagatore dell’incubo viene incaricato di instillare la paura nel cuore di un giovane mostro ma dovrà tenere a bada buoni sentimenti e raziocinio in un universo che funziona al contrario.

Il personaggio di una storia di fiction esiste in base alla sua funzione concettuale. Senza quella funzione, il personaggio non ha ragion d’essere. Dylan Dog e la paura sono due elementi dicotomici e complementari come il bianco e il nero che costituiscono gli universi immaginari dei fumetti Bonelli. Parte da questi presupposti la nuova prova di Paola Barbato e Corrado Roi, ormai coppia di fatto, professionalmente parlando, che, oltre alle collaborazioni sulle pagine dell’indagatore dell’incubo, ha consacrato il proprio connubio con la miniserie Ut, sempre per la casa editrice di via Buonarroti.

Il bianco e il nero nasce come storia breve d’apertura della collana Dylan Dog – Il nero della paura, realizzata in collaborazione con La Gazzetta dello Sport nel 2016. Le 24 pagine che componevano il racconto vengono qui riproposte per poi dare un prosieguo inedito alla vicenda.

La Barbato è al contempo psicologa e aguzzina di Dylan Dog. Laddove Tiziano Sclavi, creatore del personaggio, possiede la legittima chiave di decodifica del personaggio, la sceneggiatrice lo scardina dall’esterno per andare ad insinuarsi sotto pelle. Dylan indaga sugli incubi dei suoi clienti, la Barbato indaga sugli incubi di Dylan.

Infatti non c’è bisogno del(la) cliente di turno. Le storie migliori di Dylan sono proprio quelle che lo vedono coinvolto in prima persona piuttosto che limitarsi ad investigare sul caso del mese. La sceneggiatrice milanese lo sa ed è una formula vincente alla quale ha fatto ricorso più volte. Le macchie nere che sconfinano nel bianco destabilizzano la realtà grafica di Dylan, sia nella soggettiva del lettore che in quella del protagonista, spie di un disagio interiore, e il viaggio nel mondo di tenebra si rivela un’autentica analisi introspettiva e metatestuale del personaggio.

La Barbato gioca con le regole del mondo in negativo dove tutto funziona al contrario ma si tratta soprattutto di un concept su misura per Corrado Roi che ricorre a tutto il suo repertorio per portare sulla pagina creature immaginifiche, spettacolari vignettone paesaggistiche onirico-fiabesche, figlie di influenze dal gotico e dal cinema espressionista tedesco. Roi fa ricorso a due dei suoi segni distintivi, deformazione prospettica e occhi, in un’iconica splash-page che diventerà una delle tavole più celebri della serie, ce la ritroveremo davanti nelle mostre e nelle fiere del fumetto.

Il bianco che circonda Dylan è uno spazio vuoto, dannoso in quanto tale. E’ l’assenza della paura, la mancanza di idee dello sceneggiatore che minaccia il ruolo diegetico del protagonista. Siamo di fronte al malessere di un personaggio seriale, assuefatto ai meccanismi del terrore come molti lettori lo sono alle storie di maniera che hanno portato al ristagno qualitativo della serie e alla necessità di riscoprire quel sense of wonder fanciullesco che l’indagatore dell’incubo riesce ancora a tenere in vita.

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