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Dylan Dog 385 – Perderai la Testa | Recensione

Claudia Padalino 09/10/2018

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Trasferiamo l’incubo nell’elegante Parigi per un mistero che attraversa “gli oceani del tempo”.

Un inizio di albo con il botto, claustrofobico così come tutte le atmosfere horror a cui siamo abituati quando ci troviamo tra le mani una storia scritta da Barbara Baraldi (prosa o fumetto che sia).

Si parte subito con un Dylan misteriosamente rinchiuso dentro il bagagliaio di una macchina, diretto chissà dove. Come ci è finito lì? Si torna a qualche ora indietro nel tempo, per scoprire che tra Parigi e Londra ci sono due casi di omicidi molto strani: due donne, entrambe molto in vista (una modella e un’attrice) sono state decapitate da una forza sconosciuta.

Dylan, trovandosi partecipe dell’orrore che vede coinvolta l’attrice a Londra, cerca di indagare; si imbatte così in una donna che parla francese e che chiede il suo aiuto. Peccato che non riesce ad avere il tempo di tornare da lei: il “detective dell’incubo” viene avvicinato dal sosia transalpino di Groucho e da una biondina che lo rapiscono e lo portano a Parigi, per risolvere un caso legato alla regina Maria Antonietta, decapitata dopo la Rivoluzione Francese. Cinque pietre preziose, appartenute alla regina senza testa, sono in giro per l’Europa su altrettanto preziose collane, portando con loro una maledizione mortale.

Perderai la Testa non è solo un titolo riferito alla regina a cui è stata tagliata la testa, bensì un avviso al lettore. C’è da scervellarsi (appunto) verso il finale dell’albo: la bravura di Barbara Baraldi ha fatto sì che si presentassero nuovi intriganti personaggi (villain? aiutanti?) che ritroveremo sicuramente nei prossimi numeri. La narrazione tende sempre verso una risoluzione finale definitiva che vuole chiudere l’albo, ma ciò non è mai possibile, vista la mole di elementi che la Baraldi mette in campo. Il mistero all’interno della storia viene risolto da Dylan Dog, ma è chiaro che si tratta di un pretesto per presentare il nuovo cattivo, un banditore d’asta senza scrupoli.

Graficamente parlando, Emiliano Tanzillo ripesca la cultura cinematografica horror degli albori e riporta su carta le luci delle macchine di riproduzione delle pellicole.

I flashback sono fenomenali: il disegnatore riesce a realizzare perfettamente il punto luce centrale, la pellicola rovinata, i “rumori” visivi, tutto in scala di grigio, lasciando al lettore l’impressione di ritrovarsi davanti a uno schermo a guardare qualche classico horror, come Nosferatu o Il cabinetto del dottor Caligari.

Un albo decisamente cinematografico, che riesce a coniugare bene settima e nona arte grazie a una regia attenta, che ha piena padronanza di entrambi i linguaggi artistici. La coppia Baraldi – Tanzillo accompagna il lettore verso una lettura multimediale, senza mai scrivere la parola “fine” alle avventure dell’indagatore dell’incubo (piuttosto un “arrivederci alla nostra prossima storia insieme”).

La cover dell’immancabile Gigi Cavenago si presenta con tonalità verde-oliva e giallo, che diventano un preludio alle atmosfere fosche e “vintage” che troviamo all’interno dell’albo, accompagnandosi perfettamente ai grigi flashback di cui sopra. Il viaggio di Dylan si fa sempre più fosco, presentando sempre più dettagli verso il nuovo “ciclo della meteora”, che ci farà compagnia fino al numero 400.

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