Perché The Leftovers è la miglior serie tv in circolazione (ma in pochi la conoscono)

Pubblicato il 16 Aprile 2017 alle 11:00

In attesa della premiere della terza ed ultima stagione, che arriverà lunedì, ripercorriamo insieme il mistico viaggio compiuto da Damon Lindelof e company fino ad oggi.

La miglior serie televisiva in circolazione è una delle meno famose.

Paradossale, lo so, ma in un panorama così fitto e denso di ottimi prodotti è difficile riuscire ad emergere dalla caos primordiale senza esserne schiacciati (ogni riferimento a Jon Snow che riesce a non soffocare durante la Battaglia dei Bastardi è puramente voluto).

The Leftovers, fin dal giugno 2014 – quando debuttò con l’ipnotico e sconvolgente pilot – ha strappato consensi critici a destra e a sinistra, in ogni angolo del globo, collezionando valanghe di nomination e premi fra i più importanti del settore.

Eppure, i dati di ascolto non sono mai stati eclatanti. Il dramma religioso creato da Damon Lindelof, e ispirato al romanzo di Tom Perrotta, è sempre rimasto un prodotto di nicchia – per non dire elitario, ma fra un po’ ci arriviamo – come se temesse la luce del sole e preferisse ripararsi all’ombra dei giganti del così detto successo commerciale.

Molti, visto il pilot, spensero la tv e dichiararono: “Questa roba non fa per me!”. Troppo nichilismo, la dicotomia fra misticismo e realismo è troppo evidente, troppo spietata.

Il 2% della popolazione scompare nel nulla, di punto in bianco, destabilizzando l’equilibrio psicologico ed emotivo della società mondiale. I protagonisti della serie devono scendere a patti con questa nuova, mistica e sconvolgente verità, e trovare un modo per andare avanti con le proprie vite distrutte dalla tragedia. Di questo parla The Leftovers, almeno in apparenza, e non vi dirò di più perché altrimenti sarebbe un crimine.

L’oscurità, che nella prima stagione vibrava prepotente in equilibrio fra sogno e realtà, durante il pilot per alcuni è stata troppa. Come ricevere un pugno nello stomaco. C’erano morte, terrore, rancore, rabbia, malinconia, senso di colpa, incubi inquietanti, sette religiose che basavano la loro fede sul mutismo, il fumo e la lapidazione, figlie ribelli, donne che pagavano prostitute per farsi sparare, uomini di chiesa che spaccavano le teste degli altri sbattendole contro l’asfalto, pazzi che vaneggiavano su poteri spirituali magicamente acquisiti da un giorno all’altro.

E poi quella sentimentale, poetica, disarmante melodia di pianoforte e violini, che ti prendeva il cuore e te lo strigliava come una spugna, cavandoti le lacrime a forza. Ma soprattutto, la cosa più difficile da digerire per la maggior parte del pubblico, fu la lucida disamina sulle ipocrisie della religione (intesa come Fede in generale, ma in particolare ci si concentra molto sulla religione cattolica), che nella storia di Lindelof viene descritta come fragile appiglio emotivo, al massimo; molto spesso, invece, bollata come robetta assolutamente inutile.

Bisogna essere dei romantici per guardare questo show. Bisogna avere una sensibilità molto profonda per affezionarsi a questi personaggi strampalati, eppure assolutamente normali (o, per lo meno, normalità intesa come “sarebbe normale comportarsi in questo modo se milioni di persone scomparissero davvero da un giorno all’altro”).

Dunque, i primi dieci episodi avevano già compiuto una discreta scrematura nell’audience internazionale. Per la seconda stagione – oh mio Dio, la seconda stagione … – tornarono o quelli che erano rimasti pesantemente affascinati dalla prima, oppure quelli che erano ancora indecisi sul da farsi e volevano concedere il beneficio del dubbio alla serie.

Chi apparteneva al secondo gruppo, abbandonò definitivamente The Leftovers dopo i primi cinque minuti della seconda stagione – oh mio Dio, la seconda stagione! – a seguito di quel metaforico prologo privo di dialoghi ambientato all’età della pietra. Quelli che proprio erano riusciti a superarlo, se pur a fatica, poterono andare avanti solo per un altro quarto d’ora, durante il quale Lindelof ci presentava una famiglia e un contesto completamente nuovi, così nuovi che praticamente tutto il pubblico della serie – anche i fan – per un solo momento si chiesero se per caso non si fossero collegati su un canale sbagliato.

Constatato che quello, si, era il canale giusto, che quella negli schermi era la seconda stagione di questa strana bestia di serie tv, o l’amore sbocciò subitaneo e definitivo, oppure … beh, oppure le tv vennero spente, e si passò ad altro.

Se non siete passati ad altro, vuol dire che oggi siete qui, fra i pochi sopravvissuti alla distruzione di Jarden, che da idillio sociale nell’ultimo episodio della seconda stagione – oh mio dio, la seconda stagione!! – si è trasformata in una moderna Sodoma e Gomorra. E vuol dire anche che state aspettando con ansia il ritorno della terza ed ultima incarnazione della serie, The Leftovers 3, della quale vi parleremo settimanalmente con puntuali review e/o parafrasi (perché spesso è di questo che si tratta: cercate nel nostro sito le recensioni degli episodi della seconda stagione per credere!).

Dunque, si. The Leftovers è la miglior serie tv attualmente in onda – e intendo in onda nel mondo – e forse voi non la conoscete. Vi siete persi le fantastiche e commoventi recitazioni di tutto il cast, vi siete persi le sceneggiature geniali di Damon Lindelof, le regie focalizzate di Mimi Leder, le melodie sconvolgenti di Max Richter e l’abbacinante fotografia di  Todd McMullen e Michael Slovis.

E va benissimo così. I gusti sono gusti e il mondo è bello perché è vario eccetera eccetera.

Ma se seguite il nostro sito, e avete letto questo articolo, e questo articolo vi ha incuriosito, allora buttatevi in The Leftovers senza ulteriori indugi, senza pensare, come bisogna fare quando ci si trova sul ciglio di una scogliera: sotto c’è l’acqua e, anche se può sembrare, non è pericoloso.

Anzi, il balzo nel vuoto e il vuoto nello stomaco nell’attimo prima dell’immersione vi faranno provare una delle sensazioni più forti che mai proverete.

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