Bigg Time – Ty Templeton – recensione

Pubblicato il 7 Aprile 2011 alle 14:55

Bigg Time

Autore: Ty Templeton (testi e disegni)
Casa Editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 10,95, 16,8 x 25,7, pp. 128, b/n
Recensione


Storicamente, il fumetto underground è stato caratterizzato da una feroce satira nei confronti degli aspetti più deleteri della società occidentale e, nello specifico del comicdom statunitense, si è concentrato sulle magagne della politica, sulla mentalità bigotta e retriva della classe media e sulle contraddizioni insite nel sistema comunicativo, economico e mediatico a stelle e strisce, nonché sui suoi impulsi materialistici e meramente commerciali.

Tuttavia, se un tempo autori come Robert Crumb, Jules Feiffer ed altri si tenevano orgogliosamente ai margini delle case editrici legate ai grandi gruppi di distribuzione, oggi non è sempre così e, per esempio, la Vertigo ha spesso proposto opere di cartoonist che potremmo definire, in linea di massima, underground, appunto: basti pensare a Jeff Lemire, per esempio; a Paul Pope o a David Lapham.

Significa che le major hanno deciso di concedere spazio ad autori poco legati agli stilemi supereroistici imperanti (anche se Pope e Lapham, benché in forma peculiare e individualista, hanno fatto la loro apparizione in area mainstream)? O è il tentativo di una casa editrice generalista, la DC Comics, nello specifico, di allargarsi verso un settore fumettistico che, nei decenni precedenti, era relegato al circuito indie?

Il discorso meriterebbe un approfondimento ma mi fermo qua e passo a ragionare su questo ottimo Bigg Time, opera di un cartoonist canadese, Ty Templeton, che di certo non ha nulla a che spartire con i fumetti dei supereroi ma nemmeno è in linea con le atmosfere esoteriche, horror e fantasy di buona parte dei prodotti Vertigo. Bigg Time è infatti una geniale satira del mondo dello spettacolo e, soprattutto, dell’ossessione per la celebrità e la fama.

Il protagonista della graphic novel, Lester Bigg (forse un riferimento al cattivissimo critico rock Lester Bangs?) è il responsabile di una rubrica giornalistica piuttosto seguita. Ma non è soddisfatto: vuole diventare famoso alla stregua delle rockstar, dei giocatori di football o degli attori di Hollywood. E questo perché, in un’America consumista, solo il successo ti consente di guadagnare un sacco di soldi, di vivere nel lusso, di portarti a letto donne mozzafiato e, letteralmente, di fare tutto ciò che ti pare.

Per una serie di circostanze, Lester entra in contatto con il suo farsesco angelo custode che, invece di proteggerlo e di aiutarlo, ama prenderlo in giro. Tuttavia, quando Lester tenta il suicidio, l’angelo fa un patto con lui: se non si ammazzerà, farà sì che il suo sogno si avveri. Lester, comunque, non fidandosi, gli concede un mese di tempo. Allo scadere dei trenta giorni, quindi, Lester si ucciderà se non sarà diventato l’uomo più famoso degli Stati Uniti.

La situazione è, peraltro, complicata dall’invidia che Lester prova nei confronti del fratello, una celebrità affascinante e sciupafemmine; e dall’attrazione per una dottoressa, un’autentica bomba sexy che rappresenta la tipologia di donna che Lester non ha mai potuto conquistare. La story-line si dipana in una serie di vicende assurde e demenziali e Templeton attacca la televisione spazzatura, i reality, i blockbuster hollywoodiani, la religione e persino i fumetti (non mancano sfottò ad Alan Moore o a Todd McFarlane); ma denuncia altresì l’attenzione all’apparenza e all’aspetto fisico che assilla molti americani; la pochezza della politica; la fatuità del successo, simboleggiata dai proverbiali quindici minuti di fama warholiani; e la crudeltà e la morbosità del pubblico che da un lato adora le celebrities ma dall’altro gode quando una di esse finisce in guai giudiziari, perde la sua fortuna, è coinvolta in scandali sessuali o, peggio ancora, muore tragicamente.

La parte testuale è valida ma i dialoghi sono il vero punto di forza della scrittura di Templeton e farebbero un figurone in una sit-com, dotati di un ritmo letteralmente indiavolato e notevole incisività. Il tratto grafico del penciler, di chiara matrice underground, e valorizzato da un suggestivo bianco e nero, è efficace e in diverse pagine si notano interessanti impostazioni delle tavole, curiose prospettive e giochi visivi poco convenzionali. In poche parole, Bigg Time è, a mio avviso, una proposta diversa e vale un tentativo.


Voto: 7

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