Molly’s Game di Aaron Sorkin | Recensione in anteprima

Pubblicato il 18 Aprile 2018 alle 20:30

Il film d’esordio dello sceneggiatore Aaron Sorkin arriva in Italia dal 19 aprile.

Parla e parla e parla e parla la cara Molly Bloom, donna sensuale e straordinariamente intelligente capace di controllare ogni situazione grazie alla sua parlantina sciolta, invidiabile e inimitabile, che le permette di condurre il gioco di altri ma alle sue condizioni, con le sue regole e i suoi tempi. Fino a che non arriverà qualcun altro, che magari parla meno di lei ma si fa capire ancora meglio, attraverso gesti inequivocabili come prenderti la testa e fracassartela contro il muro, qualcun altro che vorrebbe condurre quel gioco al posto suo.

Ma anche a quel punto la nostra Molly non smetterà di parlare, sempre verbalmente affilata e pericolosa, rapida e astuta come nessun essere umano normale è in grado di essere nella realtà. Nello specifico, come solo i personaggi della realtà cinematografica possono essere. Ancora più nello specifico, come solo i personaggi della realtà cinematografica di Aaron Sorkin devono categoricamente essere.

Breve digressione: dal 2000 ad oggi, o meglio dal 2007 ad oggi (per i primi sette anni del XXI secolo si era dato al mondo della televisione con West Wing) tutti i personaggi di cui Aaron Sorkin ha scritto erano persone reali, ma trasposte in idee cinematografiche. Vi spiego meglio.

Che si tratti del Mark Zuckerberg raccontato in stile Rashomon di Kurosawa visto in The Social Network di Fincher, del general manager di baseball Billy Bean in L’Arte di Vincere di Bennett Miller, dell’imprenditore texano Charles Wilson ne La Guerra di Charlie Wilson di Mike Nichols o lo Steve Jobs del film omonimo di Danny Boyle, Sorkin è sempre partito da una figura riconoscibile, una persona in carne ed ossa, per estrapolarne l’essenza, la materia prima, l’argilla, e poi riplasmare quell’argilla a suo piacimento, I suoi film biografici, anzi le sue sceneggiature biografiche di biografico hanno ben poco, come i nomi, i luoghi, gli eventi in generale o qualche fatto specifico, ma a parte queste minuzie la realtà vera è rivista attraverso la realtà cinematografica, una realtà dove tutto si muove grazie al motore dell’acceleratore di particelle di dialoghi fotonici e montaggi serratissimi.

Sorkin non vuole darci la verità assoluta ma la sua verità, l’idea che lui si è costruito a proposito di questo o di quello durante lo studio del soggetto e la stesura delle sue sincopate sceneggiature. E in Molly’s Game, in cui questo iconoclasta sceneggiatore che è probabilmente il migliore della sua generazione si cimenta per la prima volta con la regia, fa esattamente la stessa cosa, raccontandoci la sua versione di Molly Bloom, ex sciatrice olimpionica che entra in un giro clandestino di partite di poker talmente ricco da attirare su di lei lo sguardo dell’FBI e della mafia russa.

Il film non è, come si potrebbe superficialmente pensare, il solito racconto crime di successo e declino cui ci ha abituato il cinema hollywoodiano fin dai tempi di Quei Bravi Ragazzi; nonostante l’impronta scorsesiana sia onnipresente (c’è il racconto in voice-over tipico dei film di Scorsese anche se qui il modello è orientato verso lo charme da ambiente ricco di The Wolf of Wall Street e il manto verde dei tavoli da poker di Casinò piuttosto che la strada e i locali notturni del seminale gangster movie anni ’90) Sorkin riesce a infondere squisitamente la sua identità e il suo stile, facendo di Molly’s Game un film di Aaron Sorkin in tutto e per tutto.

Probabilmente il miglior film sul poker dai tempi di Casino’ Royal, il debutto alla regia di Sorkin (che tra l’altro coincide anche con la sua prima esperienza alle prese con una protagonista femminile) si distingue per lo stile elettrico e il ritmo sferzante, conferito da un montaggio che segue il flusso inarrestabile dei dialoghi, per le interpretazioni fuori scala di Jessica Chastain e Idris Elba, e per un’intelligente riflessione sull’ambizione umana, sul potere e sull’orgoglio.

L’autore sembra aver poi appreso molto più da David Fincher che da Danny Boyle (la cui regia fiacca quasi affossò la sceneggiatura di Sorkin nel bruttino Steve Jobs) e si dimostra abilissimo nel raccontare la storia non solo attraverso le parole ma anche per immagini, e siamo davvero contenti che abbia deciso di buttarsi in questa nuova fase della sua carriera. Aaron Sorkin, come la sua protagonista Molly Bloom, ha puntato grosso rischiando tutto. Ed è stato il banco a perdere.  Si, qualche volta succede.

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