Darwin Stagione 1 & 2 | Recensione

Pubblicato il 5 Agosto 2017 alle 10:00

L’evoluzione dell’uomo raccontata in maniera brutalmente raffinata.

L’alba dell’uomo è stata scritta con un inchiostro rosso sangue… non siamo sempre stati da soli. Quest è la storia delle nostre origini, di come abbiamo massacrato tutti gli altri ominidi per goderci il pianeta Terra da soli. Molti, moltissimi anni fa, sulla terra camminavano diverse specie di uomini. Ma chi, fra loro, poteva dirsi veramente umano?

Come abbiamo fatto a diventare quello che siamo? E’ questo l’importante assunto su cui si basa Darwin, serie in due stagioni scritta da Giulio A. Gualtieri.

Parlavamo di un assunto importante questo perché l’esotica “ambientazione” della vicenda è strumentale e fondamentale per supportare quella che in realtà è una riflessione che l’autore compie sul concetto di società e quindi di convivenza fra esseri umani.

L’incipit è semplicissimo: Wzap e Hiiist, due ominidi fermi ad un diverso stadio evolutivo, sono a caccia con i loro rispettivi gruppi. Una preda troppo impegnativa per loro li separerà dai suddetti gruppi e li farà incontrare scoprendo una preda molto più pericolosa… un homo sapiens sapiens. Il gruppo si mette in viaggio, con il sapiens sapiens ben legato o quasi, verso il villaggio di Wzap facendo una macabra scoperta e capendo come i sapiens sapiens siano esseri terribili.

Si apre così la seconda stagione che è speculare alla prima ma vedrà i ruoli rovesciarsi – saranno Wzap e Hiiist a finire legati – rimettendo il sapiens sapiens in marcia alla ricerca di quello che è “suo”.

Cos’è una società? Gualtieri nel corso delle 160 pagine circa che compongono i due volumi sembra ossessionato dal volerci mostrare come alla base di una qualsiasi forma di interazione ci sia una violenza primordiale appunto. Colpisce la scelta stilistica, coraggiosissima, di realizzare la prima stagione senza dialoghi affermando con forza quell’idea di riconoscimento reciproco fra i 3 personaggi, riconoscimento che travalica l’uso del linguaggio ed è basato istintivamente sulla “somiglianza” fisica.

La gerarchia così stabilita è poi messa in dubbio da un nemico esterno – la tigre che vedete nella tavola sopra – l’elemento che rivela quella condizione umana per cui homo homini lupus e che si sposa con il concetto di stato di natura teorizzato da filosofi come Hobbes: ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cercherebbe di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri.

Non è però solo una guerra per la supremazia e per soddisfare i propri istinti. L’autore alza tantissimo la posta in gioco e nella seconda stagione introduce il concetto di proprietà privata vero pomo della discordia di tutte le riflessioni filosofiche e sociologiche del secolo scorso e soprattutto di questo secolo filtrato proprio attraverso il tema del riconoscimento.

L’idea cioè di una società che strumentalizzi, e sfrutti, i propri simili da un lato e dall’altro quella della libertà individuale e del possesso. Nella seconda vi è effettivamente una “crescita” del protagonista ma è una crescita per certi aspetti controproducente: il rimettersi in viaggio alla ricerca di quello che gli è stato sottratto potrebbe costargli caro e così sarà ma in una maniera squisitamente commerciale se voglio ricollegarsi al discorso della proprietà.

Sono due gli elementi infine da sottolineare: il fuoco ed i titoli dei capitoli con anesse didascalie.

Nella seconda stagione il fuoco è l’elemento – la scienza, il progresso – che distingue gli uomini dalle bestie ma è anche elemento aggregante ed equalizzatore per certi aspetti: riunisce e “fa vedere” come tutti gli uomini siano tutti uguali.

Gualtieri guida il lettore nella sua riflessione attraverso una attenta scelta dei titoli dei vari capitoli, di chiaro stampo filosofico, accompagnati da alcune didascalie con frasi che spaziano dalla musica al cinema fino alla letteratura e che fanno entrare il lettore nel giusto “stato d’animo” prima di approcciarsi alla lettura.

Parte grafica curata da Alessio Moroni, che si fa aiutare agli sfondi della seconda stagione da Federico Butticè. Il disegnatore compie un lavoro magistrale nell’accompagnare l’evoluzione del plot: il suo tratto da stilizzato e spigoloso muta pagina dopo pagina prestando grande attenzione alle espressioni facciali – visto che la prima stagione è pressoché priva di dialoghi – alla fisicità dei personaggi e all’ambiente circostante ostile; nella seconda stagione invece le anatomie si raffinano e le espressioni facciali trovano corrispondenza nel linguaggio mentre la fisicità si trasforma in uno studio più attento sulla postura e sul posizionamento dei personaggi rispecchiando una maggiore organizzazione sociale. La tavola è costruita con un’ottima alternanza fra verticale e orizzontale ma sempre prediligendo riquadri ampi che amplificano il senso di precarietà per un uomo che non ha ancora dominato gli elementi ed preso il sopravvento sul pianeta.

Ottimo anche il lavoro di Alessandra Rostagnotto Valeria Panzironi ai colori che si dividono rispettivamente prima e seconda stagione. Nella prima le chine ed i neri sono più spessi che amplificano quel senso di primordialità dato da una paletta che predilige i marroni e le sfumature più scure di verdi e blu. Con la seconda stagione la paletta muta virando sui rossi e sui gialli come il fuoco elemento che segna il distacco fra uomo e scimmia, fra schiavi e uomini liberi.

Anche la parte grafica quindi mostra uno studio ed una attenzione non indifferente.

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