Orfani: Nuovo Mondo n. 6 – E non avrà paura – Recensione

Pubblicato il 18 Marzo 2016 alle 20:06

Rosa sta per partorire ma un’emorragia interna causata in qualche modo dal bambino complica gli esiti della gravidanza. La ragazza sprofonda in uno stato febbrile, attanagliata da incubi ed allucinazioni che la spingono ad aggredire i suoi compagni. Nel frattempo anche la Juric è in attesa di dare alla luce la sua creatura e pianifica di impossessarsi del figlio di Rosa.

A metà della terza stagione di Orfani, per l’esattezza al trentesimo numero della serie, giunge il momento che tanti lettori stavano aspettando. Il parto di Rosa è un’occasione talmente importante da aver riunito sulle pagine di questo albo alcuni tra gli artisti più innovativi e talentuosi dell’attuale scena fumettistica italiana. Roberto Recchioni, co-creatore della serie, e Mauro Uzzeo tornano a collaborare sulla sceneggiatura apportando le rispettive, opposte sensibilità che sono risultate fondamentali nella seconda stagione.

La narrazione di Recchioni è più cinica e votata all’action, quella di Uzzeo è più introspettiva e sentimentale. A rispecchiare le filosofie dicotomiche e complementari dei due autori romani, la storia si dipana su due linee narrative parallele e simbiotiche. La prima si svolge nel mondo reale ed è affidata al tratto accattivante di Alessio Avallone che raffigura una Rosa morbida e carnosa. La ragazza nell’atto di partorire sotto un fascio di luce solare diviene quasi una figura eterea. Gli fa da contrasto l’impotente Cesar seduto su un sasso avvolto dall’ombra.

Il disegnatore si diverte a deformare i comprimari in figure mostruose, pià divertenti che spaventose, attraverso la soggettiva allucinata della protagonista. In alcune vignette, i riflessi azzurri e smeraldini forniti da Alessia Pastorello e la peculiare flora indigena danno all’ambientazione un aspetto simile a quello di un fondale marino.

La seconda linea narrativa si svolge sul piano onirico-metafisico la cui interpretazione è affidata a quattro diversi disegnatori. Ancora una volta si torna all’Albero delle Pene, simbolico fulcro su cui ruotano gli universi narrativi di Recchioni, un luogo insidioso di ricordi nei quali rifugiarsi con il rischio di restarne avvinghiati.

Werther Dell’Edera ci conduce in un limbo bianco e nero dove le sue figure stilizzate si radunano sotto un minaccioso cielo rosso con rovi incombenti che minacciano di distruggerne l’idillio. Il passo successivo lo fa Arturo Lauria con il suo tratto geometrico e spigoloso. Il rosso si è ormai insinuato nella realtà onirica trasformandosi in mostri concettuali e lo spazio negativo si fa opprimente e claustrofobico.

I disegni ancor più astratti di Aka B. sono appropriati per il dialogo interiore tra Rosa e il nascituro che rimanda ancora al tema della simbiosi. Fabrizio Des Dorides si occupa della dolorosa catarsi dell’atto finale. Le figure bianche sono ormai soffocate dalle ombre, il rosso ha saturato l’aria insinuandosi negli occhi dei personaggi. Rosa è avviluppata all’Albero delle Pene in un evidente riferimento cristologico che chiude il cerchio con la precedente immagine della natività.

Il finale riserva una delle svolte più potenti dell’intera saga. Il mondo di Rosa viene totalmente sgretolato e trionfa, almeno per il momento, la famiglia disfunzionale della Juric promettendo nuove sfide per la protagonista che ha assunto nuova dimensione e consapevolezza attraverso il viaggio redentore del parto, metafora di un esercizio creativo che richiede sacrificio e sofferenza.

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