Gli zombie che divorano il mondo: un’aspra critica alle ipocrisie della società odierna – RECENSIONE

Pubblicato il 1 Dicembre 2015 alle 15:15

Scritto da Jerry Frissen (Lucha Libre) e disegnato da Guy Davis (Sandman Mystery Theatre) Gli Zombie che Divorano il Mondo è una serie a fumetti francese che dal 2004 viene sulla rivista Métal Hurlant di Les Humanoïdes Associés.  Saldapress ha scommesso sulle tematiche parodistiche e provocatorie del fumetto, portandolo in Italia per ampliare la già ricca collana Zetacomezombie.

George Romero l’ha definita “straordinaria”. Mike Mignola “affascinante in modo bizzarro”. Bisognerà pur potersi fidare di qualcuno al giorno d’oggi, no?

Gli Zombie che Divorano il Mondo è una serie molto più impegnata di quanto le sue atmosfere scanzonate lascino intendere. Come accade nelle migliori parodie/commedie-trash che siamo abituati a vedere al cinema (The Interview con James Franco è straconsigliato se volete un film serio mascherato da buffonata piena di battute dementi) la serie di Frissen e Davis riesce a trasmettere un messaggio forte camuffandolo di mero non-sense.

Come una persona che decide di aver cambiato stile di vita grazie ad una visione avuta dopo aver ingerito un fungo allucinogeno, Gli Zombie che Divorano il Mondo è capace di essere tremendamente chiara e misticamente convincente.

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Los Angeles, 2064. Ma non c’è niente di male e post-apocalittico nel futuro, a patto che riusciate a sopportare la puzza. I morti sono usciti dalle tombe e camminano sulla terra. Come se niente fosse, però: non c’è nessuna guerra per la sopravvivenza, anzi la convivenza pacifica fra vivi e morti è il punto cruciale intorno al quale ruota l’intera serie.

Esilarante e infarcita di situazioni paradossali, la grottesca vicenda è una lente d’ingrandimento che esamina la nostra società, sdoganando ogni suo insensato tabù per metterne a nudo l’ipocrisia. Un divertissment senza soluzione di continuità che propone un campionario di personaggi a dir poco bislacchi: da Karl Neard, eccentrico risolutore di problemi legati ai non-morti (quando non perde tempo a dilettarsi nell’antica e perduta arte della necrofilia!), la sorella Maggie, il tuttofare ed ignorante come poche cose al mondo Freddy Merckx.

Le vicende dei protagonisti ci vengono raccontate su una base narrativa episodica, e ogni avventura è generalmente (non sempre) auto-conclusiva. Il rumore di fondo di una società malsana però completa il resto del dipinto allegorico/surreale che è Gli Zombie che Divorano il Mondo. Gli autori (per i quali ci preoccupiamo vagamente, man mano che proseguiamo nella lettura, perché solo chi è stato o nell’immediato futuro sarà ospite di un reparto psichiatrico può essere in grado di partorire tali assurdità) si divertono a giocare col livello di sopportazione del lettore rispolverando personaggi celebri che forse non meritavano di essere chiamati in causa.

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Ecco che quindi, per descriverci nei più minimi dettagli la società immaginaria del fumetto (ma anche la nostra), veniamo a sapere che a Gerusalemme tutti sono in fibrillazione per il ritorno di Gesù Cristo versione zombie.  O, negli Stati Uniti, i Repubblicani sono diventati una minoranza e vogliono tornare a vincere le elezioni riportando in vita George Bush.

I tre volumi che compongono la serie (Un Odore Insopportabile, La Guerra dei Papi e L’Immondo Perduto)  sono una discesa nei meandri della tana del coniglio, a patto che quel coniglio sia un assiduo consumatore di quantità industriali di crack, ma di quello buono. Una serie dissacrante, che si fa beffe del politically correct e viaggia a braccetto con l’eticamente scorretto, cocktail difficilmente digeribile di satira etico-social-politica-religiosa, esaltazione del punk e del simbolismo decadente, che per riuscire a buttar giù dovrete far appello alle vostre più recondite abilità da sospensori-di-realtà nel più perfetto stile del fottutissimo Samuel Taylor Coloridge.

Un fumetto fortemente raccomandato per sballate riflessioni filosofiche sul “che razza di mostro patetico è la società in cui viviamo” accompagnate da pesanti dosi di ultra-black-humor. Apprezzata due volte tanto se letta sotto l’effetto di droghe pesanti (stato di coscienza durante il quale la serie è stata evidentemente pensata e, forse, perfino partorita).

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