Fate/GrandOrder: Babylonia – Gilamesh e Enkidu

Pubblicato il 29 Marzo 2020 alle 11:00

La serie di Fate è parecchio conosciuta, tra anime, film, giochi e novel è quasi impossibile non averne mai sentito parlare.

Alla base delle storie di tutte le serie c’è sempre l’evocazione dei servant in sette classi diverse (saber, lancer, archer, caster, assassin, rider e berserker) più due extra (ruler e avenger). I servant sono spiriti eroici, l’incarnazione di antichi eroi del passato ricordati nelle leggende. Alcuni posso essere familiari, perché eroi delle leggende greche o romane, mentre di altri sappiamo poco o niente, e di solito le loro leggende e mitologie non sono esplorate nel dettaglio nell’anime o comunque non accuratamente.

L’ultima serie animata uscita è quella di “Fate/Grand Order – Absolute Demonic Front: Babylonia” che segue una delle storie presenti nel gioco per cellulare FateGO.

In questa serie di articoli andremo a scoprire le leggende dei servant che appaiono proprio in quest’ultima serie, anche quelle più conosciute e familiari potrebbero nascondere particolari che in realtà non conoscevate. Il background mitologico dei personaggi non ha una grande influenza sulla trama dell’anime quindi il livello di spoiler è relativamente basso.

Iniziamo con una doppietta: Gilgamesh ed Enkidu, la loro storia è molto intrecciata e trattarli separatamente sarebbe stato inutile e ripetitivo.

 

L’Epopea di Gilgamesh è il più antico poema epico della storia dell’umanità, scritto in caratteri cuneiformi tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. circa e narra delle gesta del re sumero di Uruk nella Mesopotamia meridionale. Gilgamesh, il protagonista, sembrerebbe essere basato su un re realmente esistito ma nelle leggende è un semidio, per un terzo umano e per due terzi divino, figlio della Dea Ninsun e del re Lugalbanda. La sua missione era quella di osservare l’umanità e assicurare il dominio degli Dei, che non potevano più prendere forma umana e abitare sulla terra liberamente, sugli umani.

Tuttavia, la consapevolezza della sua natura unica lo portò ad essere un tiranno che regnava sopra agli abitanti di Uruk in modo spietato e crudele, cosa che non compiaceva affatto gli Dei che però non avevano la capacità di impedirglielo. Fu così che il re degli Dei, Anu, e la Dea della creazione, Aruru, crearono un “guerriero primitivo”, un mostro fatto di argilla da mandare sulla terra per fermare Gilgamesh: Enkidu.

Inizialmente Enkidu era un mostro informe che viveva nelle foreste nei dintorni di Uruk difendendo gli animali dai cacciatori. Dunque, gli Dei gli inviarono la prostituta sacra Shamkhat, che gli permise finalmente di prendere una forma umana (simile a quella della donna, per questo le sue sembianze sono un po’ femminili).

Finalmente Enkidu si recò a Uruk per affrontare Gilgamesh. Sull’esito del combattimento in realtà ci sono più versioni: in una i due erano completamente alla pari, in un’altra è Gilgamesh a vincere ma riconosce il valore di Enkidu e lo risparmia, infine in un’altra ancora Enkidu vince ma decide di unirsi a Gilgamesh. In ogni caso I due divennero amici e si avviarono verso varie imprese a caccia di tesori e gloria.

Ad un certo punto la dea Ishtar (di cui parleremo in un altro articolo) si innamorò di Gilgamesh e gli propose di sposarla ma lui rifiutò. Tuttavia, sposare una Dea era uno dei doveri di Gilgamesh che, infuriati per il suo rifiuto, inviarono sulla Terra il «Toro celeste», una tremenda bestia divina che massacrò centinaia di guerrieri e devastò la città di Uruk prima che Gilgamesh ed Enkidu riuscissero ad affrontarlo e uccisero. Allora gli Dei decisero che almeno uno dei due sarebbe dovuto morire come punizione. La scelta ricadde su Enkidu che si ammalò di una malattia sconosciuta e dopo dodici giorni di sofferenza morì tra le braccia dell’amico.

Non riuscendo a darsi pace per la sua perdita, Gilgamesh partì alla ricerca del segreto dell’immortalità rivolgendosi a Utnapishtim, l’unico uomo sopravvissuto al diluvio universale, che gli rivelò dell’esistenza di una pianta dell’immortalità in fondo al mare. Dopo aver recuperato la pianta però, questa venne mangiata da un serpente sulla via del ritorno (i serpenti venivano infatti considerati immortali per via della muta della pelle dai sumeri).

Gilgamesh, fallito il tentativo di ottenere l’immortalità, ritornò a Uruk ma le sue avventure e l’amicizia con Enkidu l’avevano reso più saggio e da allora regnò sul suo popolo in maniera più benevola, tanto che alla sua morte era amato da tutti e la sua storia fu tramandata nei secoli.

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