Slender Man di Sylvain White | Recensione

Pubblicato il 7 Settembre 2018 alle 11:00

Arriva in Italia l’adattamento horror del celebre mito creepypasta, diretto da Sylvain White e con protagonista Joey King.

Il problema più grosso di Slender Man di Sylvain White è che si tratta di un film dell’orrore che fa spesso orrore ma mai paura, errore già di per se imperdonabile per un film appartenente a questo genere che poi diventa doppiamente grave se si pensa che il materiale di partenza è una delle più famose ed inquietanti leggende metropolitane moderne.

Forse il maggior esponente del genere letterario noto come creepypasta (una forma di letteratura internettiana che si può considerare come l’equivalente digitale del simpatico rito del sedersi intorno ad un falò per raccontarsi storie dell’orrore), la leggenda di Slender Man nasce nel 2009 grazie ad Eric Knudsen, che creò l’iconico personaggio (un uomo enorme, smilzo e senza faccia che è un mix fra l’Uomo Nero e un personaggio saltato fuori dalla mitologia di Stephen King) per un concorso fotografico. La rappresentazione sembrava talmente reale che iniziò a rimbalzare sui siti internet e l’inquietante figura dello Slender Man da lì in avanti è stata associata a casi di rapimenti di bambini e casi misteriosi, fino ad ispirare realmente un omicidio, come riportato nel documentario HBO del 2016 Beware the Slender Man.

Purtroppo per il film di White con protagonista la graziosa Joey King quel documentario risulta essere molto più inquietante di quanto non sia una qualunque delle scene meglio riuscite di questo adattamento cinematografico, che non riesce mai a spaventare come dovrebbe o come farebbe uno qualsiasi dei tanti racconti sulle vicende dello Slender Man che si trovano facilmente su internet.  E’ un vero peccato perché White solo sporadicamente e soprattutto troppo superficialmente mostra ciò che il film sarebbe potuto essere nelle mani di un regista più avvezzo a queste atmosfere, il linguaggio visivo del film lo accomuna ai peggiori esempi di cinema horror moderno, e tutto ciò che di buono c’era nelle idee di base viene malamente sprecato.

White sbaglia fin da subito l’approccio, trattando il materiale come una sorta di remake di The Ring (o Ringu, se siete fra coloro che preferiscono l’originale di Hideo Nakata) e ci racconta la storia di quattro ragazze che guardano un video maledetto che circola online ed evocano involontariamente il mostro che dà il titolo al film. Una di loro scompare e le altre tre dovranno recarsi in un bosco per sacrificare qualcosa a cui tengono nel tentativo di salvarla.

Dato che l’evocazione dello Slender Man conduce alla pazzia tutto avrebbe funzionato alla grande se si fosse scelto di puntare sulla componente allucinatoria, mescolando Twin Peaks a Candyman e valorizzando maggiormente le sequenze più riuscite (almeno paio, una che riguarda una videochiamata e un’altra che gioca in maniera brillante con la prospettiva). Purtroppo però c’è così tanta illogicità cinematografica che il film oltre a non fare paura a tratti sembra anche ridicolo (nel terzo atto la protagonista uscirà tranquillamente con un ragazzo come se le sue due migliori amiche non fossero state rapite da un inquietante demone mostro assassino sovrannaturale).

Ecco, forse l’unico modo che Slender Man ha di distinguersi dai tanti film horror simili (e migliori, anche quelli pessimi) che prova malamente ad imitare è la capacità tutta sua che ha di risultare assolutamente anonimo.

 

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