Storia Popolare dell’Impero Americano: Recensione

Pubblicato il 9 Gennaio 2012 alle 11:42

Quando fumetto, cronaca e indagine storica si incontrano nasce un capolavoro come Storia Popolare dell’Impero Americano, graphic novel imperniata sull’acuta disamina dell’imperialismo statunitense di Howard Zinn, in un volume targato Hazard Edizioni/Il Manifesto!

Storia Popolare dell’Impero Americano

Autori: Howard Zinn, Paul Buhle (testi), Mike Konopacki (disegni)
Casa Editrice: Hazard Edizioni/Il Manifesto
Provenienza: USA
Prezzo: € 15,00, 17 x 24, pp. 288, b/n
Data di pubblicazione: 2011

La conoscenza della storia è essenziale, non solo perché serve sapere ciò che è accaduto nel corso dei secoli, ma anche perché memorizzare determinati errori può aiutarci a non commetterne di nuovi. Uno dei detti più citati di George Santayana è, infatti, ‘Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo’. Tuttavia, è indubbio che i libri di storia, nella stragrande maggioranza dei casi, sono scritti dal punto di vista dei poteri dominanti, delle élite e, quando si ragiona sulle guerre, dei vincitori.

Ma ci fu uno storico che, invece, scelse di narrare la storia prendendo come prospettiva privilegiata la visione delle masse oppresse: poveri, disadattati, operai e, in generale, le categorie che non occupano i vertici della scala gerarchica che condiziona l’intero sistema mondiale. Mi riferisco a Howard Zinn, compianto autore di A People’s History of The United States che, come è facile intuire dal titolo, è una storia degli Stati Uniti vista attraverso lo sguardo del popolo, nell’accezione più nobile del termine, e non da quello della classe politica o delle lobby affaristico/militari.

Zinn si definiva orgogliosamente ‘radicale’ e ciò denota il suo coraggio, dal momento che, pressoché da sempre negli Stati Uniti, il termine non ha un significato positivo (non per tutti, almeno) ed è sinonimo di attaccabrighe, piantagrane, agitatore, anti-americano e, in tempi più recenti, terrorista. Paul Buhle, saggista che si è sovente occupato della storia dei movimenti radicali, e Mike Konopacki, cartoonist di area underground, hanno deciso di rendergli omaggio con questo favoloso Storia Popolare dell’Impero Americano, pubblicato in Italia da Hazard Edizioni/Il Manifesto.

Non si tratta, in realtà, dell’adattamento a fumetti del testo di Zinn (sarebbe stato arduo farlo, peraltro, considerata la vastità e la complessità), ma di un compendio, presentato in forma di graphic novel, del pensiero di Zinn. Il lettore avrà notato che il titolo del volume si concentra non sugli Stati Uniti ma sul concetto di ‘Impero’. Secondo Zinn, infatti, le vicende del suo paese vanno di pari passo con l’impulso imperialista, nonché colonialista e guerrafondaio, dei centri di potere statunitensi. Buhle, in particolare, scrivendo la sceneggiatura, utilizza molto materiale di Zinn, tanto che la narrazione è un riuscito mix della prosa dei due autori.

Coadiuvato dal penciler Konopacki, immagina quindi una versione fumettistica di Howard Zinn che, dopo il crollo delle Torri Gemelle, tiene una conferenza sull’imperialismo degli Stati Uniti. L’idea di fondo di Zinn è questa: l’America (intesa come potenza politica e militare) è il Male. Non ha niente a che vedere con la democrazia. È, anzi, una dittatura mascherata da democrazia e, in quanto tale, più spietata delle dittature ‘palesi’, spesso create e sostenute dagli stessi Stati Uniti per ragioni di business.

Zinn inizia il suo resoconto con il genocidio degli indiani e il massacro di Wounded Knee; per poi proseguire con l’ascesa delle prime grandi lobby affaristiche, interessate al profitto e non al benessere dei cittadini; descrive la nascita dei grandi movimenti sindacali e operai; dimostra, dati alla mano, che l’America è responsabile, tramite astruse macchinazioni, dello scoppio delle due guerre mondiali e che in seguito ha sostenuto dittatori e tiranni, allo scopo di dominare, a livello economico, il pianeta. In altri termini, il regno del Male ha creato il suo Impero.

Ma Zimm e Buhle non si limitano a questo e criticano la corruzione e l’ipocrisia di una nazione che si reputa migliore delle altre e che fa la morale al mondo intero: condanna il razzismo, quando per decenni gli afroamericani hanno subito la segregazione; sputa sentenze sui diritti civili, quando lei per prima provoca milioni e milioni di morti e usa la tortura, ieri in Vietnam, oggi nei paesi mediorientali, domani da qualche altra parte; pontifica sulle armi di distruzione di massa (per giunta, da essa stessa vendute ai pazzoidi di turno) quando l’unica arma di distruzione di massa che sia mai stata usata, a Hiroshima e Nagasaki, è responsabilità dell’America; tuona contro i Saddam Hussein o gli Osama Bin Laden dopo che questi ultimi sono stati sovvenzionati e sostenuti dalla C.I.A. E la lista dei crimini degli Stati Uniti, puntigliosamente sciorinata dagli autori, è molto più lunga e non ho lo spazio per continuare.

Nello stesso tempo si mette in discussione il consumismo; la corruzione di un apparato giornalistico, informativo e mediatico al soldo dei potenti; l’avidità dei banchieri e dei grandi cartelli petroliferi; il bieco moralismo dei reazionari; e il ritratto dell’America che emerge è quello di un paese dedito ad atti di terrorismo, più gravi ed estremi di quelli di sparuti fanatici islamisti (pure in questo caso manipolati dall’America).

La parte grafica è validissima e Konopacki usa un tratto dichiaratamente indie, con intriganti soluzioni visive, a volte con inserti fotografici, e con un’impostazione della tavola altamente inventiva. Il volume si chiude, comunque, con una nota di speranza, poiché il paese che ha sfruttato (se non provocato) l’undici settembre allo scopo di giustificare vergognose manovre espansionistiche non è perduto: pur essendo il Male assoluto, in America sono nati i pensatori liberi, Woody Guthrie, gli eroi del dissenso non violento, la Beat Generation, il rock’n’roll, i fumetti underground e, nel complesso, quelle personalità e quei fenomeni non compromessi con il potere.

Ovviamente, un simile capolavoro non potrà piacere ai Miller che berciano sull’Islam o sul movimento Occupy Wall Street o sulle mezze calze che producono fumettini contro il terrorismo islamista e che considerano l’America la quintessenza della libertà e della civiltà. No, Storia Popolare dell’Impero Americano si rivolge a lettori intelligenti; quelli che non si fanno prendere per i fondelli dalla propaganda dilagante e dai facili conformismi. E, fortunatamente, di lettori intelligenti ce ne sono ancora. Negli Stati Uniti come in Italia.

Voto: 8

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