Caput Mundi 1 – Città di Lupi | Recensione

Pubblicato il 23 Settembre 2017 alle 10:00

Pietro Battaglia non è solo, non poteva essere solo…

Roma. Oggi. La Città Eterna è ormai lontana anni luce dai fasti della Dolce Vita e la capitale è un ricettacolo di disperati che si muovono furtivi nelle periferie procurandosi “lavoretti” che permettono loro di tirare a campare.

Nero, Inglese e Bimbo – i Lupi – hanno un misterioso ma affidabile contatto: lavori facili ma soprattutto ben pagati. Dopo uno di questi lavori decidono di allentare un po’ la tensione in un club per soli uomini e lì Nero incontra la sua “amica” Greta la quale propone ai Lupi un colpo grosso… rapinare un furgone che trasporta i guadagni dello Sceriffo.

Tutto sembra filare liscio ma la rapina prende una brutta piega trasformandosi in un mexican standoff in piena tangenziale e saranno proprio Nero, Inglese e Bimbo a risolverlo ma in modo tutt’altro che convenzionale. Il variopinto gruppo di rapinatori ormai latitante però dovrà subire un’ultima decisiva visita… chi hanno davvero rapinato?

Era inevitabile che Battaglia portasse alla nascita di una serie spinoff; sui meriti del personaggio creato da Roberto Recchioni e Leomacs non si discute tuttavia quando Editoriale Cosmo ha deciso di varare una collana per allargare l’universo narrativo del vampiro siciliano la curiosità è cresciuta settimana dopo settimana: Caput Mundi sarebbe riuscito a compenetrare il substrato socio-culturale dell’Italia – elemento in cui, almeno per me, risiede il fascino ed il successo di Battaglia – così bene come la testata principale?

Sì, ma da una angolazione completamente differente.

La prima parte dell’albo paga infatti dazio ad una certa narrativa truce e criminale che passa da Romanzo Criminale a Gomorra, e che ha trovato poi diffusione pop sotto forma di serie TV e film, ed in cui il duo Monteleone/Sicchio sguazza perfettamente a proprio agio. La prosa è caustica e gergale conferendo alla storia un tocca di genuino realismo che si sposa con personaggi tanto assurdi quanto plausibili, emarginati di una metropoli spietata e spersonalizzante.

Gli autori mantengono un ritmo relativamente blando ed indugiano forse un po’ troppo sull’aspetto più crime nella prima parte dell’albo, ben presto però il ritmo inizia ad alzarsi e l’elemento soprannaturale, prima solo fugacemente accennato, esplode in una adrenalinica seconda parte dell’albo in cui è l’azione a farla da padrone fino all’ottimo cliffhanger finale.

Pietro Battaglia ovviamente compare ed è un lussuosissimo comprimario: il suo nuovo status quo, i suoi nuovi capi, meriterebbero un albo a parte tuttavia il vampiro non è mai un elemento soverchiante perché quello che è interessante, e rende decisamente l’albo vincente, è quel “non detto” sull’origine dei protagonisti e sulla loro “condizione”.

Caput Mundi non cade nella retorica dello “spiegone” anzi crea un microcosmo narrativo credibile alimentandolo subito dalla fame di conoscere di più sui personaggi che lo popolano e sul loro destino.

E’ Pietrantonio Bruno la “sorpresa” di questo primo numero il quale prende timidamente le misure nella prima manciata di pagine per poi esplodere da metà albo in poi. Il suo tratto è plastico ed in alcuni momenti quasi incontenibile con una costruzione della tavola concisa, forse addirittura troppo rigida in alcuni frangenti, che esalta la sua perizia anatomica rivolta sempre ad un realismo mai statico e che trova termine di paragone, per l’utilizzo di alcune inquadrature e stile, in uno dei disegnatori più apprezzati provenienti dagli USA ovvero quel Greg Capullo visto all’opera su Batman recentemente.

Caput Mundi convince – superando un inizio convenzionale e un po’ troppo pacato nel ritmo – perché riesce a rielaborare sagacemente la formula dello straordinario che invade l’ordinario: immaginate se Romanzo Criminale fosse invaso dai mostri… ecco la Roma di Caput Mundi.

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