Recensione – Westworld 1×03: “The Stray”

Pubblicato il 18 Ottobre 2016 alle 15:25

“Alcuni scelgono di vedere soltanto la bruttezza, in questo mondo…”

Il leitmotiv di far iniziare ogni episodio con il primo piano dall’alto su Dolores a letto ha quel non so che di adorabile e inquietante. Ripetizione, un loop metafisico che si riavvia in eterno, di cui noi siamo gli unici testimoni.

Inoltre, la metafora del risveglio è essenziale all’interno dell’intreccio intricatissimo che Nolan ha orchestrato: roba da far invidia al dottor Ford, e chissà cosa farebbe Ford se scoprisse di essere un personaggio inventato per il divertimento di qualcun altro …

Risveglio, si, ma anche cambiamento.

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Dolores sta attraversando una fase di profondo cambiamento, anche grazie all’aiuto di Bernard (l’ottimo Jeffrey Wright) che, all’insaputa dei suoi colleghi, parla con lei, le fa leggere delle fiabe (Alice nel Paese delle Meraviglie, il risveglio più straniante della letteratura di fine ‘800) e la plasma, da un certo punto di vista, rendendola più umana.

Scopriamo che questo attaccamento che Bernard prova nei confronti di Dolores ha origine dal fatto che lo scienziato ha perso un figlio, e che proprio nella bellissima contadina interpretata da Evan Rachel Wood, così profondamente indifesa davanti ai problemi che la circondano, ha trovato una sorta di figlia adottiva, e adesso vuole aiutarla a crescere.

Questo episodio sottolinea in maniera netta, in stile doppia-linea-rossa da professoressa furiosa, quanto siano differenti Bernard e il dottor Ford: il primo è passionale, quasi innamorato del concetto di vita artificiale che hanno creato a Westworld (e innamorato in senso paterno di Dolores) mentre il capoccia, mister Anthony Hopkins, per quanto sia il vero ideatore del parco e dei suoi incredibili, realistici host, mantiene sempre un freddo distacco nei loro confronti.

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E’ davvero molto forte la scena in cui Ford affetta il viso di un host disattivato e in fase di tagliando, solo per dimostrare che non sono umani, perché possono provare solo quelle sensazioni/emozioni che loro gli dicono di provare. E ancora quando suggerisce a Bernard che sa dei suoi incontri con Dolores, ricordandogli che l’aver perso un figlio non giustifica l’attaccamento verso gli host.

Ford è un personaggio molto controverso: infatti, nel raccontare a Bernard i retroscena sulla creazione di Westworld (chi sarebbe questo Arnold?, è morto davvero?, c’è qualche collegamento con l’Uomo in Nero?) mette in evidenza come in trent’anni di esperimenti e creazioni dedicati al parco, ha maturato anche lui un senso di attaccamento nei confronti degli host, dicendo che “il minimo che possiamo fare è resettare la loro memoria per fargli dimenticare le atrocità cui li sottoponiamo”.

E in un certo senso sembra un pensiero d’affetto nei confronti degli esseri che ha creato, ma che va in netta contrapposizione con quanto aveva detto a Teddy qualche scena prima: il compito di Teddy non è quello di vivere una storia d’amore con Dolores, ma quello di tenerla nel loop della sua vita, e farla finire ogni notte stuprata nel fienile, dopo che lui muore.

Se in questi tre episodi il personaggio a cui vi siete affezionati di più è Dolores (cosa probabile) allora questa particolare scena avrà suscitato in voi sentimenti molto avversi nei confronti di Ford, che non appare più come il Dio buono e bravo del Nuovo Testamento, ma assomiglia molto a quello iracondo e insensibile dell’Antico Testamento.

Da questo punto di vista i motori principali della vicenda sembrerebbero proprio i due scienziati, Bernard e Ford, con il primo che non potrà continuare ad assecondare il secondo per sempre, visto quanto sono diversi le loro concezioni di Westworld. Senza dimenticare l’Uomo in Nero di Ed Harris, assente in questo episodio, e i cui obiettivi rimangono ancora oscuri.

L’episodio offre anche un grandioso effetto speciale che ha ringiovanito Hopkins nella maniera in cui Robert Downey Jr. è ringiovanito in Civil War, con la differenza che il budget per questo episodio e quello per il kolossal dei fratelli Russo non è minimamente paragonabile, e il lavoro su Hopkins è davvero eccellente.

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E mentre Maeve, nell’incontrare Teddy, ricorda di averlo visto morto il giorno prima e viene afflitta dalle conseguenze dell’episodio precedente, William inizia a sciogliersi un pochettino e sembra essersi ambientato in questo strano mondo western artificiale.

Le cose però stanno iniziando a farsi serie.

Primo, chi sono quei loschi e brutali uomini mascherati che Teddy non è riuscito a ferire con la sua pistola, nella scena più horror della serie finora? Secondo, quali saranno le conseguenze dell’attacco subito da Stubbs ed Elsie ad opera dello “stray” (randagio) del titolo?

E, last but not least, ora che per autodifesa Dolores ha violato il suo codice principale, che le impediva di usare violenza contro altri, ma soprattutto adesso che ha iniziato a ricordare l’Uomo in Nero e tutte le torture subite nelle sue “vite precedenti”, come e quanto cambieranno le cose per lei?

Cari amici, siamo davanti ad un prodotto di invidiabile fattura, pieno di filosofia, profondo, scritto magistralmente e stilisticamente e tecnicamente impeccabile. Speriamo di poterlo dire anche alla fine dell’ultimo episodio.

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