Dylan Dog n. 352: La calligrafia del dolore – Recensione

Pubblicato il 4 Gennaio 2016 alle 23:51

Dylan Dog viene invitato dalla sua vecchia fiamma Diane all’inaugurazione di Mooncaster Manor, venduta da un Lord in bancarotta. La donna teme che la dimora possa essere infestata e chiede all’indagatore dell’incubo di trattenersi fino all’indomani. Nella notte si verifica però un terribile massacro. Dylan, unico superstite, cercherà di far luce sull’accaduto.

L’attuale direzione editoriale di Dylan Dog si è preposta di tirar fuori la serie dal pantano manierista in cui è ristagnata per anni tentando di restituire freschezza ad un prodotto diventato troppo convenzionale. La promessa è stata mantenuta proponendo finora storie molto autoriali e controverse, sia sul piano delle sceneggiature che dei disegni, e dirottando le storie d’impostazione più classica sul Maxi Dylan Dog.

Questa nuovo albo della serie regolare è un’eccezione alla regola. Andrea Cavaletto, sceneggiatore che ha debuttato durante la precedente direzione editoriale, gioca sul sicuro firmando una vicenda che rimanda a stilemi già collaudati, anche prevedibili, valorizzata dai disegni di Luigi Piccatto, coadiuvato nell’occasione da Giulia Massaglia, Renato Riccio e Matteo Santaniello.

I lettori di vecchia data della serie troveranno familiare la struttura della storia. L’albo non si apre con una sequenza ad effetto ma viene immediatamente mostrato l’elemento esoterico (o presunto tale) che farà da filo conduttore per alcune spassose sequenze horror splatter che denotano anche una ricercata e divertita vena trash. Esseri mostruosi esaltati dal tratto affilato di Piccatto, prosperose donne discinte che si trasformano in creature da incubo e le chine che mescolano sangue e ombre costituiscono la parte più piacevole della lettura.

Cavaletto ha il merito di rendere Dylan il motore della storia. Non è semplicemente un testimone degli eventi ma conduce un’indagine e tiene fede alla sua natura di antieroi dimostrandosi tanto inadeguato quanto risolutivo. La componente investigativa e quella più ludica sono bilanciate in maniera perfetta e c’è un occhio attento anche alla nuova continuity. Le tavole costruite in modo convenzionale rispecchiano lo stile tradizionale della storia. Tra le incertezze della sceneggiatura qualche vignetta di troppo, balloon pensiero facoltativi, alcuni dialoghi troppo abbottonati e un epilogo che non riesce ad avere l’impatto emotivo che vorrebbe.

La riflessione sulla responsabilità nell’esercizio del potere, di qualunque potere, è interessante seppur retorico e regge piuttosto bene. Cavaletto fa progressi come artigiano delle vicende dell’indagatore dell’incubo ma deve cominciare a cercare un approccio più personale, riconoscibile e coraggioso alla creatura di Tiziano Sclavi. Non sarà un albo memorabile ma la lettura è gradevole e i disegni fanno il loro dovere.

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