Starting Point N. 6: Jeff Lemire

Pubblicato il 7 Marzo 2011 alle 11:01

Dopo generi narrativi, personaggi ed etichette editoriali “Starting Point” torna ad occuparsi di un autore e lo fa con una delle proposte più interessanti e originali dell’attuale panorama fumettistico nordamericano: il canadese Jeff Lemire.

Come per l’opera di ogni autore, ma per la sua in particolare, è necessario prima di tutto dare uno sguardo alla sua vita biografica, della quale sono impregnate tutte le sue storie, se non altro per quanto riguarda le atmosfere e i paesaggi che fanno da sfondo e, in qualche modo, partecipano alle vicende. Per capire lo stile narrativo di Lemire è infatti indispensabile tenere bene a mente la sua infanzia nella campagna canadese e la sua breve frequentazione di una scuola di cinematografia (la cui influenza si ritrova tutta nella scelta delle inquadrature, nella costruzione delle tavole e nel ritmo narrativo) abbandonata nel momento in cui si rese conto che il cinema, troppo legato a budget e attori (soggetti “altri” di cui non si può avere pieno controllo), non si adattava alle sue esigenze espressive e al suo modo di creare fatto di solitudine e ascolto interiore (ma anche esteriore visto che lavora sempre con artisti come Nick Cave, Tom Waits, i Depeche Mode o i The Cure in sottofondo).

Le autoproduzioni
Gli esordi avvengono nel 2003 nel campo delle autoproduzioni dando vita a storie brevi come  i due mini-comics “Ashtray”, pubblicati sotto la sua etichetta “Ashtray Press”, e  “True North” (2006), storia ambientata durante la seconda guerra mondiale e dalla genesi editoriale piuttosto complicata: doveva essere pubblicata dalla “Speakeasy Comics” (la stessa dei primi numeri dell’ottimo “Rocketo” di Frank Espinosa, arrivato in Italia grazie a Italycomics) ma in seguito al fallimento venne proposta online sul sito della “Ashtray Press” che purtroppo però non è più attivo. Il primo exploit che lo porta all’attenzione di un pubblico più ampio è però del 2005, anno in cui grazie a “Lost Dogs” vince lo Xeric Award, importante premio nordamericano istituito da Peter Laird (co-creatore delle Tartarughe Ninja) e dedicato al fumetto autoprodotto, vinto, tra gli altri, da autori come: Adrian Tomine (“Optic Nerve”, 7 numeri autoprodotti più 11 della “Draw and Quarterly” di una rivista con i primi racconti dell’autore di cui a breve vi proporrò una recensione) e Jason Lutes (“Giara di Stolti”, edita in Italia da Black Velvet) nel 1993, Jessica Abel (“Artbabe”) nel 1995, James Sturm nel 1996, Daniel Zezelj nel 2000 e Sonny Liew (“Malinky Robot”, edito da Lavieri) nel 2002.

“Lost Dogs” è la classica storia di un uomo che si vede strappar via tutto e lotta per riconquistarlo, ma grazie alla particolare sensibilità di Lemire diventa l’occasione per parlare dell’ “Odio” e del “Desiderio” a livello quasi concettuale.

Si inizia qui ad intravedere la grande capacità dell’autore di parlare dei grandi temi della “Vita” attraverso piccole storie di persone comuni o straordinarie, ma comunque sempre profondamente umane.

Graficamente l’opera è ancora immatura, ma lo stile, influenzato anche dall’opera dell’italiano Gipi (spesso citato tra le letture preferite di Lemire), è già riconoscibile e il bianco e nero intervallato da piccoli dettagli in rosso risulta profondamente evocativo e coinvolgente.

Con Gipi la storia condivide anche i toni violenti e la capacità di colpirti allo stomaco, caratteristiche che nelle opere successive lasceranno spazio ad un velato senso di malinconia.

“Lost Dogs” al momento è purtroppo quasi introvabile, dovrebbe però essere riproposto a breve dalla “Top Shelf”, casa editrice che ha segnato la consacrazione di Lemire con un’opera come “Essex County”.

Prima di passare alle opere “mature” del canadese occorre però citare la striscia fantascientifica “The Fortress” serializzata su “UR Magazine”, le 3 micro-biografie di 1 pagina pubblicate sul magazine “Driven” intitolate “Bio-Graphical” e le 5 pagine disegnate per il numero 5 di “Beowulf”, serie d’avventura della “Speakeasy Comics”, dimostrazioni della grande versatilità grafica e narrativa dell’artista.

Dai racconti brevi alla “Top Shelf”
Dal 2009 Lemire inizia a scrivere e disegnare brevi racconti per collane antologiche di case editrici come “Image Comics”, “Dark Horse”, “DC Comics” e “Top Shelf Productions”, producendo rispettivamente: “Coffin for Mr. Bishell” (storia di ambientazione western, di cui Lemire realizza i disegni, inclusa in “Outlaw Territory vol.2”); “The Old Silo” (racconto contenuto in “Dark Horse‘s Noir Anthology” in cui continua ad esplorare le vite a metà tra ordinario e straordinario degli abitanti della campagna canadese); “The Tale of Brutus the Bold” (storia horror di cui realizza i disegni, contenuta in “House of Mystery 18”) e “The Horseless Rider” (in “Awesomer: Indie Spinner Anthology 2”), potete vedere (e acquistare) molte delle tavole di queste storie e degli altri lavori di Lemire su questo sito.

Già dal 2008 però aveva cominciato a pubblicare sotto etichetta “Top Shelf” quello che, a mio avviso, resta il suo capolavoro: la trilogia di “Essex County”. Nata nel 2008 col volume “Tales from the Farm”, “Essex County” è una storia corale, in cui tutti i personaggi, non solo i protagonisti, vengono trattati con sensibilità unica e finiscono per conquistare le luci della ribalta  e il cuore del lettore. Come già per “Lost Dogs” i personaggi sono “straordinarie” persone comuni di cui ci vengono presentati interi spaccati di vita o momenti “rivelatori”, densi di significati ed emozioni, il tutto filtrato attraverso un velo di malinconia e nostalgia per il passato che caratterizza tutte le storie. Nel primo volume, il succitato “Tales from the Farm”, il protagonista è Lester, un ragazzino di dieci anni che, rimasto orfano, si ritrova a vivere in campagna col vecchio zio, qui fa amicizia con Jimmy LeBeuf, un gigantesco quanto infantile benzinaio quarantenne, col quale si perde in mondi fantastici ed avventure supereroistiche vissute con tutta la passione e, per certi versi, la “serietà” che può avere un bambino di quell’età. La storia di questa strana amicizia diventa quindi il pretesto per raccontare i rapporti, le diffidenze ed i ritmi di una piccola comunità di campagna ed ancor più di una famiglia ridotta all’osso, burbera, ma capace di dare grande amore, fino a trovare un possibile punto di contatto tra fantasia e pragmatismo. Nel piccolo protagonista, inoltre, è facile immaginare un Lemire ancora bambino immerso in quelle avventure che, di lì a pochi anni, avrebbe creato sulla carta dei più importanti editori d’America.

Il secondo volume, “Ghost Stories”, svela piano piano la vita dei fratelli Lou e Vince LeBeuf, contrapponendo un presente fatto di solitudine e amarezza ad un passato di grandi successi (nell’hockey professionistico, in amore, nella Toronto degli anni ‘50), il tutto raccontato attraverso lo sguardo di Lou. Lemire riesce ad emozionare anche attraverso serratissime partite di hockey raccontate con il pathos di un appassionato cronista, oltre a colpire allo stomaco con le vicende familiari che divideranno i due fratelli e costringeranno Lou ad allontanarsi dagli affetti. In chiusura l’autore fornisce degli indizzi che suggeriscono quanto le vicende dei fratelli LeBeuf siano in realtà molto più collegate a quelle dei protagonisti di “Tales from the Farm”, di quanto la semplice omonimia lasciasse intuire.

Se nel secondo volume veniva raccontata la Toronto sportiva del dopo Seconda Guerra Mondiale nel terzo, “The Country Nurse”, a farla da protagonista è la stessa contea di Essex, con la sua natura a volte spietata e le sue storie di inizio novecento. Questo ultimo libro, infatti, parte da piccoli dettagli comuni per raccontarci la storia di Anne, l’infermiera del vecchio Lou LeBeuf e quella di una suora responsabile di un orfanatrofio nel 1917. Le due vicende vengono presentate in maniera alternata e collegate tra di loro da piccoli dettagli che finiscono per svelare importanti tasselli della storia della famiglia LeBeuf. Le due protagoniste ci vengono mostrate in tutta la loro umanità, concentrandosi in particolare sui loro rapporti con i LeBeuf, ma non disdegnando di approfondire le relazioni con la propria famiglia per quanto riguarda l’infermiera e le tensioni amorose e sessuali per quanto riguarda la suora che cerca di conciliare la propria vocazione a Cristo con la passione di un amore terreno. Per chi volesse approfondire la storia del Canada di fine ottocento, con un taglio molto più incentrato sulle vicende nazionali rispetto a quello decisamente più privato di Lemire, consiglio il bel volume “Louis Riel” di Chester Brown, edito in Italia congiuntamente da Coconino e Black Velvet.

Al solito le emozioni private e le “piccole” storie raccontate da Lemire riescono a parlare dei grandi temi della Vita, dall’Amore, all’Amicizia, fino al Tradimento e al Dolore più atroce, quello che si è costretti a negare per poter continuare a vivere.

Nella versione “collected” di “Essex County” trovano spazio anche due racconti brevi ambientati nella Contea e parecchio materiale inedito, oltre ad una scena precedentemente tagliata dall’autore.

In chiusura di paragrafo vi segnalo il prossimo libro di Lemire in uscita per “Top Shelf” intitolato “The Underwater Welder” che racconta il viaggio introspettivo di un “saldatore degli abissi”, abituato alla pressione delle profondità marine ma incapace di sopportare quella del diventare padre.

Dalla Vertigo ai supereroi DC.
Il 2009 è l’anno della consacrazione per Lemire, che ottiene un importante contratto dalla divisione “Vertigo” della “DC Comics” per “The Nobody” (in italiano “Signor Nessuno”, edito da Planeta), rivisitazione della storia dell’uomo invisibile. In quest’opera Lemire mostra tutta la sua conoscenza dei meccanismi cinematografici, lasciando alle immagini, alla costruzione della tavola, alle inquadrature, il compito di raccontare la storia, in un eccezionale ossimoro per cui le vicende di un uomo invisibile vengono svelate attraverso elementi propri della parte visuale del medium fumetto.

A parlare sono quindi le espressioni, gli sguardi, i dettagli (la sequenza di inquadrature sempre più strette sulla porta della stanza del motel ne è un esempio lampante), dettagli, ancora una volta, di una provincia agricola poco avvezza agli stranieri e, esplicitando la fratellanza etimologica, agli “strani” (in particolare sembrano molto presenti alla coscienza dell’autore l’amore per i silenzi di Bergmann e le atmosfere paranoiche e disturbanti del “Twin Peaks” di Lynch). Non mancano però riferimenti ai fumetti horror della EC Comics e a quelli “Rosa” particolarmente in voga negli anni cinquanta, in una “rivisitazione” della storia di Wells che più che un esercizio di stile riesce ad essere uno spunto per indagare la natura umana e le relazioni, non si indaga quindi il mistero di un uomo che si è reso invisibile, ma il mistero dell’Uomo e dei suoi comportamenti.

Nel settembre dello stesso anno parte, sempre per “Vertigo”, anche la serializzazione di “Sweet Tooth”, storia fantascientifica di un ragazzo nato con corna di cervo che, dopo essere stato allevato in totale isolamento, si trova a muoversi in un’America straziata da una misteriosa epidemia con al suo fianco un gigantesco cacciatore (Lemire stesso definisce questa serie una sorta di “Bambi incontra Mad Max”). Il viaggio diventa un mezzo per svelare l’anima di questo strano ragazzino, facendolo incontrare con altri ibridi uomo/animale suoi “simili” ed esplorando così il tema della Diversità. La serie si caratterizza anche per un numero “speciale” (il 18), uscito recentemente, in cui vengono ospitati autori di punta del fumetto indipendente come Matt Kindt (autore del bellissimo “Super Spy”, edito in Italia da “Rizzoli-Lizard”, raro gioiello di sperimentazione artistica e narrativa, la cui struttura ricorda in qualche modo la varietà stilistica di Chris Ware), Nate Powell (autore di “Portami Via”, anch’esso edito da “Rizzoli”, delicata storia di amore fraterno e disturbi mentali e dell’intollerenza dettata da una società spaventata da ciò che non riesce a spiegare) e Emi Lenox (autrice poco nota ed inedita in Italia di cui è uscito “EmiTown”, divertente “diario” di un anno della sua vita a Portland, città più “weird” d’America, vedere “Portlandia” per credere!).

Nel 2010, inoltre, gli viene affidato (con Mahmud Asrar ai disegni ) uno speciale legato alla saga “Brightest Day” dedicato ad “Atom” (Ray Palmer), personaggio “minore” dell’universo DC, portato al successo dalle storie “Silver Age” di Gardner Fox e Gil Kane.

Ad esso si susseguono una co-feature, dedicata allo stesso personaggio, sull’ “Adventure Comics” di Johns e soprattutto la serie regolare di “Superboy”.

In quest’ultima Lemire ritrova la “sua” provincia rurale, stavolta incarnata dall’agricola cittadina di Smallville, e può quindi riversare nella scrittura tutti quegli elementi biografici tipici delle sue opere più personali.

Superboy sembra perfetto per esplorare temi come il senso di straniamento, la difficoltà di gestire le relazioni personali e tutte le caratteristiche positive e negative proprie della mentalità “di campagna” (personalmente, essendo cresciuto in un paesino della campagna toscana, non fatico a ritrovare in tutta l’opera di Lemire elementi propri della mia storia personale, riuscendo ad identificarmi benissimo con i suoi personaggi e condividendo molti dei loro dubbi e paure). Il fumetto supereroistico, però, sembra non essere ancora padroneggiato al meglio da Lemire, che pur riuscendo ad inserire spunti di riflessione e narrativi interessanti non è ancora in grado di dare sufficiente originalità alle storie, restando troppo legato alle tradizionali  situazioni narrative del fumetto di supereroi ed in particolare di quello con protagonisti adolescenti (“Giovani Titani” di Wolfman e “Legione dei Supereroi” di Levitz su tutti).

Non mi resta che ricordarvi l’appunto tra due settimane con il primo “Starting Point” “giapponese” dedicato al poetico “Jiro Taniguchi”!

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