Dylan Dog n. 343: Nel fumo della battaglia – Recensione

Pubblicato il 27 Marzo 2015 alle 09:56

Susy riceve messaggi in chat dal figlioletto Joy, affetto dalla sindrome di Asperger e morto suicida un anno prima. Anche se è convinta che si tratti della persecuzione di un impostore, la donna decide di rivolgersi a Dylan Dog, delle cui imprese Joy era un grande ammiratore. Mentre l’indagatore dell’incubo deve affrontare inquietanti manifestazioni, l’anima del bambino è intrappolata in una lotta tra il bene ed il male.

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L’elaborazione del lutto è un doloroso percorso interiore verso l’accettazione della perdita, una lotta contro i propri demoni che diventa ancor più complicata quando c’è di mezzo un suicidio che può scatenare il senso di colpa del superstite. E’ su questo nervo delicato, sul legame tra una madre e il figlio deceduto, che Gigi Simeoni decide di porre Dylan Dog. Nel nuovo corso editoriale della testata, l’autore bresciano ha già curato i testi di Anarchia nel Regno Unito e torna, stavolta anche in veste di disegnatore, per una storia dalla struttura e dalle dinamiche più convenzionali rispetto agli ultimi albi della serie ma niente affatto banale.

Joy è un bambino autistico per il quale la madre Susy rappresenta tutto il suo mondo. Chiuso in se stesso e affascinato dall’idea e dal mistero dell’aldilà, il bambino diviene ancor più taciturno e distaccato quando la madre è costretta per cause di forza maggiore a metterlo in un istituto. Tutto nella tragica morte di Joy, precipitato da una finestra, lascia quindi pensare ad un suicidio.

Un anno dopo, la donna inizia a ricevere messaggi in chat da un presunto impostore che si spaccia per il figlio e decide di rivolgersi all’indagatore dell’incubo. Ma il mistero di tale messaggi viene presto rivelato. La storia diventa piuttosto un’analisi intimista e l’indagine di Dylan si concentra più che altro sul mistero che si cela dietro la morte di Joy. La metafora imbastita da Simeoni non renderà semplice la soluzione.

L’incapacità di Susy di lasciar andare il figlio e il rimorso per la sua sorte, generano quei demoni interiori a cui Simeoni conferisce sembianze mostruose e intrappolano Joy in un limbo, un campo di battaglia tra il bene e il male, uno scenario biblico, apocalittico, dalla resa grafica fortemente suggestiva e simbolica. Il ritiro interiore del bambino, tipico dei malati di autismo, viene espresso da rapide didascalie introspettive.

I social network e la tv attraverso cui si palesano le presenze sovrannaturali, benevole o malvagie, simboleggiano una connessione a volte distorta e artificiosa con il mondo esterno. Lo scontro di Dylan con tali entità è la componente più ludica del racconto. Groucho sdrammatizza i momenti più grevi della narrazione e non può mancare in tale contesto il supporto della medium madame Trelkovski.

Simeoni scandisce bene i ritmi della narrazione, costruisce la tavola con attenzione studiando bene le angolazioni di ripresa e ricorre talvolta ai balloon pensiero non sempre indispensabili. Il tratto del disegnatore si lascia apprezzare in particolar modo nella mimica corporea dei personaggi e nell’intensità delle espressioni fisiognomiche nei primi piani.

La storia riserva una sottile ambiguità finale prestandosi a diverse interpretazioni. La tesi del suicidio viene spazzata via o l’allegoria la rende ancor più valida? Dipende da ciò a cui una madre può decidere di credere, di aggrapparsi, nel tentativo di dare un senso alla morte del figlio, superare i propri tormenti ed andare avanti. Il fumo della battaglia che oscura la cover di Angelo Stano è trafitta dagli occhi azzurri di Dylan il cui sguardo penetra nel cuore del lettore e lo ipnotizza, come un sentimento che lega e rende difficile il distacco.

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