Il publisher della Image attacca rilanci, reboot e variant cover in un appello a editori e fumetterie USA

Pubblicato il 22 Febbraio 2016 alle 11:36

Il mondo del fumetto USA è attraversato da un certo nervosismo.  Eric Stephenson cerca di capire perché ripercorrendo la storia dei comics, con l’obiettivo di evitare che i problemi del passato tornino a manifestarsi nel 2016.

Come sarà il 2016 dei comics? Marvel e DC lo affronteranno da fenici, bruciando i propri sé passati e ripresentandosi apparentemente rinati, tutti nuovi e differenti. Un processo che, con alterne fortune, si è ripetuto più volte nella storia decennale del fumetto USA, e che questa volta sembra sia stato accolto con scetticismo e un interesse relativo da osservatori, lettori e rivenditori (fatto inquietante, molte delle serie rilanciate dopo Secret Wars sono scese a livelli di vendita inferiori a quelli di prima dell’evento dopo soli 3/4 numeri).

Eric Stephenson
Eric Stephenson

A questa situazione e a questi metodi ha fatto chiaramente riferimento il publisher della Image Comics Eric Stephenson, in un lungo discorso pronunciato al ComicsPRO, convention in cui si radunano rivenditori (le fumetterie), editori e autori. Un’orazione indirizzata quindi agli addetti del settore, e Stephenson ne ha approfittato non per parlare dei progetti della Image ma per mettere in guardia colleghi e partner commerciali sui rischi che secondo lui l’industria sta non solo ignorando, ma cercando volontariamente.

Stephenson, come abbiamo visto in un’altra recente intervista, non si è mai fatto problemi a dire la sua su quello che succede nel comicsmondo; abbiamo quindi deciso di tradurre per intero l’intero discorso, per metà lezione di storia del fumetto USA e per metà denuncia dei mali che secondo lui lo affliggono: stratagemmi abusati come eventi a ripetizione, variant cover eccessive, sfruttamento di rivenditori e lettori, cupidigia e miopia. Buona lettura.

Vorrei parlarvi del futuro ma, prima, dovremo andare un po’ a spasso nel tempo, fino a un’era in cui non c’era Internet, non c’era Twitter, né Facebook né Instagram. Un tempo in cui non esistevano fumetterie.

Nessuno qui presente lavorava in questo campo negli anni ’50, ma, secondo tutti i resoconti, era un periodo drammatico per i comics. La nostra industria non aveva neanche vent’anni, eppure era già sull’orlo del collasso.

Dubbie manovre politiche avevano, di fatto, silenziato la EC Comics – una delle principali forze creative della scena. I fumetti horror e crime erano stati resi innocui dal Comic Code e potevano a tutti gli effetti essere considerati morti – condannati dalle loro stesse armi. I comics si piegarono a pressioni esterne e crearono un sistema auto-regolar di classificazione che metteva di fatto fuorilegge ogni tipo di contenuto che potesse interessare lettori adulti. I comics erano per ragazzini, in fondo, ma persino i supereroi, così popolari durante la Seconda Guerra Mondiale, traballavano.

La casa editrice di Martin Goodman, conosciuta allora come Atlas, se la cavava vendendo fumetti sui mostri, ma nei primi anni ’60 le cose si stavano mettendo male. Per vedere la luce, però, bisogna trovarsi nell’oscurità, e fu in quei tempi bui che i comics ritrovarono la speranza.

Forse c’era qualcosa nell’aria in quegli anni, perché lo stesso periodo che ci diede i Beatles e i Rolling Stones ci donò anche quello che oggi conosciamo come il Marvel Universe.

I Fantastici Quattro. Spider-Man. L’Incredibile Hulk. I Vendicatori.

Stan Lee, Jack Kirby, Steve Ditko, e tutti gli incredibili artisti che lavorarono insieme a loro ispirarono una generazione di lettori con il loro lavoro, e nel farlo, trasformarono la Marvel in un torreggiante monolite in quell’industria barcollante. Anche la DC Comics, che già era ben conosciuta per Superman, Batman e la Justice League, ritrovò vigore, e non si poi esagera molto nel dire che i supereroi salvarono i comics.

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Ma andiamo avanti veloce fino agli anni ’70.

Era finito decennio esplosivo per i comics, ma mentre gli anni ’60 sbiadivano nella memoria, lo faceva anche l’entusiasmo che li circondava. Jack Kirby lasciò la Marvel per la DC. I supereroi erano stritolati dalle maglie del Comics Code. I comics underground e le riviste in bianco e nero come National Lampoon e Creepy, Eerie e Vampirella della Warren testimoniavano la voglia del medium di crescere.

Ma le edicole, che per molto tempo avevano ricoperto il ruolo di principali rivenditori, iniziarono il loro lungo addio, con la scomparsa degli albetti a poco prezzo a causa dei tentativi di ogni genere che vennero fatti per aumentare i profitti consolidando la propri posizione.

A sceneggiatori e disegnatori che entravano nell’industria veniva continuamente assicurato che il mercato fosse giunto all’ultimo respiro. I comics erano spacciati.

Allora tutti i fumetti potevano essere resi alle case editrici, e in effetti questo avveniva quasi sempre. Spesso, i fumetti non lasciavano neanche i magazzini, causando carestie regionali che aumentavano il valore degli albi sul sempre crescente mercato del collezionismo.

Per risparmiare temp, glisserò su alcuni eventi, ma fu a questo punto che Phil Seuling iniziò a porre le fondamenta del sistema delle fumetterie.

Non successe tutto in una notte. Ci vollero anni perché piccole librerie dell’usato si evolvessero in autentiche fumetterie, ma per la one degli anni ’70 esisteva un sistema organizzato e il mercato come lo conosciamo oggi era nato.

Il risultato fu che i comics prosperarono, e no solo quelli dei soliti sospetti come Marvel e DC.

La scena underground maturò nel fumetto indipendente, e da lì arrivarono Cerebus e Elfquest.
Arrivarono Love & Rockets, American Flagg, Nexus. First Comics. pacific Comics. Eclipse. Kitchen Sink. Il vecchio maestro, Will Eisner, produsse una serie di graphic novel che sfidavano la percezione di ciò che i fumetti avrebbero dovuto e potevano essere, e dalla fine degli anni ’70 lungo tutti gli anni ’80 e oltre i comics sperimentarono un’esplosione di creatività.

Avanti veloce di nuovo. Questa volta a metà anni ’90.

I comics a questo punto si erano guadagnati un certo rispetto.

Grazie al talento di Alan Moore, Frank Miller, Art Spiegelman, Garth Ennis, i fratelli Hernandez e Neil Gaiman, il mondo iniziava a prestare attenzione. I comics non erano solo roba per ragazzini.

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Ma c’erano anche dei problemi. Esplose il fumetto indipendente in bianco e nero – e poi implose, mettendo in evidenza una propensione alla miope cupidigia che nel nostro ambiente è defluita e avanzata come la marea per decenni.

E negli anni ’90 la marea era decisamente altissima.

Proprio quando sembrava che i comics fossero pronti per quella legittimazione culturale che era stata loro negata quando i contenuti più maturi erano stati stupidamente messi da parte con la morte improvvisa della EC Comics negli anni ’50, il mercato si abbandonò ai suoi impulsi più vili. Il livello di creatività senza precedenti che accompagnò uno dei periodi più prosperi dei comics si imbarbarì in trucchetti e stratagemmi.

C’erano più fumetterie che mai, e c’erano anche molti fumetti.

Troppi fumetti, con troppe copertine.

Variant cover. Foil cover. Hologram cover. Cover a sbalzo. Cover vedo-non vedo. Cover a libretto. Cover fosforescenti.

Le copertine venivano imbustate, i comics diventarono merce di lusso, oggetto di speculazione rampante.

I comics uscivano in ritardo, e ogni tanto non uscivano proprio, mentre tutte le case editrici galoppavano a folle velocità senza curarsi poco dei lettori e quasi per niente dei rivenditori.

Eroi morirono, eroi rinacquero. Testate vennero cancellate, e testate vennero rilanciate con una nuova numerazione.

Il mercato si espanse.

E poi collassò.

Fumetterie fallirono.

Un esempio da manuale di interesse a breve termine e hubris estrema portò un colpo quasi letale al sistema distributivo delle fumetterie, lasciando come unico superstite la Diamond Comics Distribution.

Altre fumetterie chiusero portando il totale dei rivenditori specializzati, una volta più di 10.000, a una frazione di quel numero, una perdita da cui ancora non ci siamo ripresi.

La Marvel si preparò a firmare le carte per dichiarare la bancarotta.

Tutto questo avveniva meno di 20 anni fa, ma facciamo un altro salto in avanti, ai primi anni di questo secolo.

Grazie a Joe Quesada e Bill Jemas la Marvel era  di uovo in piedi. Grazie all’attenta supervisione di Paul Levitz e Bob Wayne, la DC riunì successi passati e presenti per costruire un catalogo di titoli sempre disponibili impressionante e sostenibile che rimane uno standard per l’industria ancora oggi.

E grazie alla visione creativa di un gruppo variegato di persone come Craig Thompson, Marjane Satrapi, Warren Ellis, Mark Millar, Brian Michael Bendis, Grant Morrison, Brian Azzarello, Daniel Clowes, Chris Ware e, di nuovo, Alan Moore, Neil Gaiman, e Frank Miller, oltre che all’influsso crescente di titoli manga troppo numerosi per essere elencati, l’industria dei comics trovò il suo asse.

Per la prima volta dall’era delle edicole abbracciò un pubblico vasto, realmente di vario genere, e i comics rifiorirono nuovamente.

Le cose non migliorarono immediatamente, ma il mercato si stabilizzò, e poi riprese a crescere. Fatto più positivo, iniziò a crescere in direzioni nuove e diverse.

Nuove voci richiamarono un nuovo pubblico:

Jeff Smith. Brian K. Vaughan. Gail Simone. Jill Thompson. Bryan Lee O’Malley. Alison Bechdel. Robert Kirkman. Jeff Kinney.

Mentre si allargava lo spettro di contenuti che i comics offrivano, cambiava l’aspetto del mercato.

E eccoci qui oggi.

Se una volta i comics venivano sprezzantemente trattati come passatempi per maschi adolescenti, ora ci sono fumetti fatti da chiunque per chiunque.

Per certi versi non c’è mai stato un periodo migliore per leggere comics, ma come è stato scritto, “Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi.”

Recentemente un collega mi ha detto “Sul serio, non mi è mai piaciuto meno lavorare nel campo dei comics.”

Non è il solo.

Negli ultimi mesi, e sempre più frequentemente dall’inizio di quest’anno, ho sentito commenti simili da ogni angolo dell’industria. Scrittori. Artisti. Rivenditori. Le persone sono preoccupate del futuro.

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Di nuovo.

Non perché manchi il talenti creativo.

Non ci si può lamentare per lo stato di un’industria creativa piena di talenti come Jillian & Mariko Tamaki, Raina Telgemeier, Jeff Lemire, Nate Powell, Kieron Gillen & Jamie McKelvie, Jason Aaron, Marjorie Liu, Julia Wertz, Ron Wimberly, Matt Fraction, Ed Piskor, Fiona Staples, Kelly Sue DeConnick, Scott Snyder, Rick Remender, Erika Moen, Ming Doyle e i tanti, tanti, tanti altri artisti che hanno reso i comics moderni la vibrante esperienza che sono oggi.

No, le persone sono preoccupate perché stiamo ricadendo di nuovo vittima dei nostri peggiori istinti. Stiamo permettendo che i nostri interessi più immediati ci dettino i piani per il futuro. Stiamo lasciando che la cupidigia ci guidi.

Prosegue nella prossima pagina

Un’altra citazione sera-abusata dice:

“Coloro che non imparano dal loro passato sono condannati a ripeterlo.”

Siamo sopravvissuti al Comics Code, alle edicole, siamo cresciuti – ma nonostante tutte le lezioni che abbiamo imparato lungo la strada, in qualche modo non riusciamo a pensare in maniera responsabile al futuro.

Ci preoccupiamo troppo di quello che noi manca invece di concentrarci su quello che abbiamo, e continuiamo a spacciare ai lettori la paura di perdersi qualcosa per eccitazione.

Siamo tornati a stratagemmi, a variant cover e rilanci e reboot e a tutti quei vecchi trucchetti mascherati da eventi, quando in realtà tutto quello che i nostri lettori vogliono sono buone storie.

Continuiamo e continuiamo a proporgli ottime occasioni per salire a bordo, ma ormai succede così spesso che i lettori li vedono invece come opportunità di dire basta e mollare tutto. Scambiamo picchi momentanei di vendite per successi duraturi e, cosa peggiore, passiamo così tanto tempo a pensare come mantenerci su questa strada che abbiamo perso di vista la direzione verso cui siamo diretti.

E quando dico “noi” non parlo solo degli editori o dei rivenditori, ma anche degli autori.

Siamo, purtroppo, tutti colpevoli.

Ma siamo, tutti insieme appassionatamente, sulla stessa barca.

Quindi ecco le buone notizie:

Non deve andare per forza in questo modo.

Veniamo qui al ComicsPRO e ai Diamond Retailer Summits ogni anno per scambiarci idee su come rendere migliore il mercato. Gli editori ci vengono per avere opinioni dai rivenditori, e i rivenditori ci vengono per imparare l’uno dall’altro. Recentemente, anche gli autori sono stati coinvolti nella conversazione, come è giusto che sia – sono parte dell’infrastruttura di quest’industria come chiunque altro, verosimilmente ne sono la parte più vitale.

Vogliamo tutti dei consigli su come rendere l’industria dei comics la miglior possibile, dunque spero che quello che sto per dire venga preso secondo questo spirito.

Dobbiamo dire basta.

Se qualcuno – se chiunque di noi – sta mettendo gli interessi immediati davanti a progetti a lungo termine: Basta.

Basta sabotare la propria stessa crescita continuando a fare quello che si è sempre fatto.

Basta rimanere così legati al passato – ai successi del passato, alle sconfitte.

Basta crogiolarsi nella nostalgia per ciò che è passato da tempo. Dal punto di vista creativo, la golden age dei comics è ora – mettiamo da parte la nostalgia.

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Se sei un rivenditore che ordina più copie di un fumetto di quante ne venderà solo per ottenere una variant: Basta.

Le variant non aiutano a costruire un pubblico stabile per il titolo che stai cercando di vendere. Nel caso migliore, generano qualche profitto immediati; nel peggiore privano i fan di un qualcosa artificialmente limitato. Tutti i fumetti dovrebbero essere per tutti. Non solo per i collezionisti. Non solo per chi ha più soldi.

Sempre allo stesso proposito, se sei un editore che prova a imporre i suoi con variant esclusive per i rivenditori che questi ultimi possono ordinare solo aumentando in maniera irresponsabile gli ordini: Basta.

Otterrai al massimo un aumento di vendite di breve durata, ma non avrai di certo nessun vantaggio dalle pile di fumetti invenduti che intasano gli scaffali o che finiscono nei bidoni del ‘tutto a 1 dollaro’.

E andiamo, cosa ci guadagniamo dall’imporre ai clienti LootCrate copie di comics che poi con il secondo numero venderanno una frazione del primo, se non un pezzo di quota di mercato? Lo abbiamo fatto tutti, e senza un piano di marketing preciso per trasformare quelle copie a caso in veri lettori, e non ci porta da nessuna parte. Basta.

Allo stesso modo, se sei un editore che pubblica troppi fumetti: Basta.

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È un mercato affollato.

Lo diventa sempre di più settimana dopo settimana. Abbiamo tutti pubblicato titoli che credevamo meritassero un’accoglienza migliore di quella che hanno ricevuto, bei titoli – anche ottimi titoli – e vanno tutti persi. L’ho visto succedere. Nessuno di noi è immune, quindi è ora di dire basta.

E cominciamo a tenere più in considerazione quello di cui ha veramente bisogno il mercato. Guardiamo cosa c’è già là fuori, e quali nicchie sono già piene.

Ormai respingevo proposte sugli zombie da anni, ma ora respingo anche quelle fantascientifiche. E quelle horror. E i gialli. Tutto ciò che già abbiamo in abbondanza. A meno che non abbiano qualcosa di veramente eccezionale, di quei comics il mercato è saturo. Ci sono altri filoni da scoprire. È il momento di scavare più in profondità.

Se sei un autore – sceneggiatore, artista, entrambi – le leggende di ieri hanno svolto il oro compito. Per decenni, ormai, abbiamo cavalcato le spalle di giganti. Basta. Lasciamoli riposare. È ora di creare nuovi personaggi, esplorare nuovi mondi, raccontare nuove storie. La nostra industria – il nostro medium – ha una storia lunga e magnifica, ma il passato rimane tale. Il futuro è una strada che si snoda di fronte a noi.

Guardate ai successi di Jessica Jones e The Walking Dead. Guardate a Kingsmen di Mark Millar e Dave Gibbons. O a Diary of a Teenage Girl di Phoebe Gloeckner. Tutte idee di questo secolo che ispirano un’eccitazione genuina.

La vera ragione per cui l’industria dell’intrattenimento è così infatuata dei fumetti è che i comics sono sempre stati una riserva di nuove idee. Smettetela di comportarvi da curatori di marchi intercambiabili e create.

E se sei un editore che cerca di tirare su i suoi numeri pubblicando più di un episodio al mese: Basta.

Questo rende praticamente impossibile per i rivenditori valutare con precisione le vendite, mette sotto una pressione eccessiva anche il più fedele dei lettori e priva artisti e sceneggiatori della capacità di fare al meglio il loro lavoro. In più, priva del tutto gli artisti di costruire quelle run da molti episodi che definiscono le carriere più lunghe e illustri.

Sta a voi – i rivenditori – comunicarci con decisione quali effetti abbiano per voi tutte queste pratiche. Borbottare pigramente non cambierà nulla – e soffrire in silenzio non porta nessun beneficio. Iniziate a dire quando è abbastanza.

È anche l’ora che i rivenditori, non importa se appena arrivati o in questo campo da tempo, inizino considerare con più attenzione la grande varietà di comics sul mercato. Non è ammissibile per il proprietario di una fumetteria dire di essere troppo occupato per leggere fumetti. Siamo tutti occupati. Tutti i giorni, tutto il giorno. Fa parte del lavoro.

Quando gli autori mi chiedono che tipo di fumetti stiamo cercando, dico loro di potare avanti qualsiasi cosa li entusiasmi, perché se il loro lavoro li appassiona, verrà notato. Siamo tutti parte dello stesso ecosistema, e la stessa regola è applicabile a voi. È la prima cosa che si impara vendendo. Se conoscete il vostro prodotto, lo venderete con più successo.

Volete una prova? Le Valchirie.

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Le Valchirie sono un’associazione che raduna proprietarie e commesse delle fumetterie di varie parti del mondo.

Non c’è un editore in questa stanza che non abbia beneficiato dal costante e attento supporto delle Valchirie, delle donne di ogni paese che raccomandano e vendono i fumetti e graphic novel che leggono e amano.

Iniziate a leggere fumetti. Ne venderete di più.

Lo stesso vale per gli editori. leggete i fumetti che producete.

Leggo più fumetti che posso, dei miei. A volte non mi piace quello che leggo. A volte la proposta iniziale è migliore del prodotto finito. Non si può vincere sempre, ma si impara qualcosa leggendo quello he pubblichi, anche solo quali errori evitare in futuro.

Tutti facciamo degli errori, ma il problema più grosso che abbiamo ora, qualcosa che ci tormenta ancora oggi nel 2016, è che ci facciamo sfrenatamente e esclusivamente gli affari nostri. Nel bene e nel male, però, siamo tutti inesorabilmente legati in questo mercato quasi completamente unico – autori, editori, rivenditori, distributori.

Il sistema di Vendita Diretta [le fumetterie] fu un’idea brillante che praticamente salvò i comics dall’estinzione, ma oggi è virtualmente l’ultimo bastione per la rivendita di intrattenimento indipendente e con gestita dai diretti proprietari. Negli anni, le fumetterie hanno contribuito alla nascita di entità creative senza precedenti, entità creative che adesso stanno rendendo i comics una forza potente nel panorama culturale.  Sicuramente noi editori vogliamo trovare nuovi modi per raggiungere i lettori – attraverso librerie, distribuzione digitale – ma pur con tutte le loro stranezze, le fumetterie devono sempre essere trattate come un rifugio sicuro, non come una misera da sfruttare. E se vogliamo a esistere in futuro, dobbiamo smetterla di darle per scontate.

Qualche pensierino finale per tutti.

Primo: non si può avere alleato migliore di qualcuno che abbia la voglia di dirti quando sbagli qualcosa, qualcuno che dica “No”quando tutti gli altri dicono “Sì”, anche se non gli conviene. L’onestà è l’unico vera valuta e, adesso, è qualcosa di cui l’industria ha bisogno più che mai, perché se non possiamo essere onesti l’uno con l’altro – e con noi stessi – riguardo a dove siamo e verso dive stiamo andando, gli errori del passato ci schiacceranno con un peso tale che non riusciremmo mai a rialzarci.

Secondo: se tutto quello che vi è arrivato di ciò che ho detto è una condanna di quello che fate, se per qualche motivo pensate che offrendovi consigli per costruire un’industria migliore e più sostenibile voglio vedere la vostra compagnia o titolo o negozio fallire, vi assicuro che non è così.

Non è semplice alzarsi di fronte a così tante persone più e più volte per attirare l’attenzione su problemi esistenti da tempo, ma lo faccio perché mi sta a cuore. Questo è il mio 24° anno in quest’industria, e c’è una sola ragione per cui ci sono rimasto tanto a lungo: amo i fumetti.

Mi piace pensare che tutti qui provano lo stesso, e che nonostante le divergenze tra di noi, tutti condividiamo l’amore per quello che facciamo e un desiderio fervente che il successo arrivi per l’intera industria. A prescindere da quello che pensate di me, dal profondo del mio cuore, sto dicendo solo quello che penso sia necessario dire, e credetemi, non è niente che non abbia già detto a me stesso allo specchio.

Tutti abbiamo i nostri successi – tutti facciamo errori – ma tutti possiamo fare meglio.

C’è un intero mondo qui fuori, e tutto ciò che creiamo o vendiamo può essere apprezzato da chiunque riusciamo a raggiungere. Desidero che tutti qui trovino prosperino e abbiano successo, non solo oggi, ma per anni a venire.

Per concludere, qualcuno mi ha passato delle parole di David Bowie che personalmente mi hanno ispirato molto nelle ultime settimane:

“Se ti senti confortevole nel lavoro che stai facendo, non lo stai facendo bene. Spingiti sempre un po’ più in là nell’acqua rispetto alla tua zona di sicurezza; vai dove è un po’ più profondo rispetto al solito. E se quando sentirai che i tuoi piedi si sono appena staccati dal fondo, sei esattamente nella condizione giusta per fare qualcosa di entusiasmante.”

Possiamo tutti imparare qualcosa da queste parole, non solo perché sono sagge, ma perché entusiasmare è nel nostro DNA.

Abbiamo superato momenti duri in passato, abbiamo attraversato numerosi cambiamenti e ne siamo venuti fuori più forti. La mia più grande speranza è che invece di digrignare i denti e rassegnarsi a un anno di dolorosa transizione, si possano fronteggiare le sfide di fronte noi non come ostacoli, ma come nuove opportunità.

Fonte per la traduzione

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