Recensioni Fumetti

Recensione: Kawaii Art – Valentina Testa

Francesca "Koe" Guarracino 27/07/2011

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Kawaii Art

Autore: Valentina Testa
Editore: Tunuè – collana Frizzz
Formato: 18×16,5, cop. plast. opaca, 112 pag., b/n e col. su carta lucida
Provenienza: Italia
Prezzo: € 9,70

Recensione

Con questo breve e agevole saggio dal titolo “Kawaii Art – Fiori, colori, palloncini (e manga) nel Neo Pop giapponese”, Valentina Testa analizza forme e significati di quel gusto per il carino e l’infantile che in giapponese viene reso con il termine “kawaii”, una parola con la quale gli appassionati del fumetto e dell’animazione made in Japan, ma non solo, hanno familiarizzato negli ultimi anni.

Partendo dalla definizione di kawaii la giovane autrice illustra al lettore come la ricerca costante di elementi che si richiamano all’infanzia costituisca in realtà la copertura di un profondo malessere che attanaglia le nuove generazioni giapponesi, costrette in un sistema che non sembra lasciare spazio all’individuo e alle sue personali aspirazioni. In sostanza, una vera e propria fuga dalla realtà e dalle responsabilità che il diventare adulti comporta.

L’analisi prosegue poi prendendo ad esempio dieci artisti contemporanei, tra cui l’acclamato Takashi Murakami, che hanno fatto proprio il concetto di kawaii, impiegandolo come strumento di espressione e denuncia di certe manifestazioni soffocanti e alienanti della cultura tradizionale e moderna del Giappone.

La trattazione si sviluppa agilmente, presentando tuttavia forti elementi di incoerenza, per un’esposizione delle tesi di fondo che risulta per lo più confusionaria e frammentata. Il rischio principale che corre un lettore che abbia poca o nessuna dimestichezza con il magico e complesso mondo del Sol Levante, è quello di finire con il perpetuare tristi stereotipi e luoghi comuni relativi a forme e contenuti della produzione grafica giapponese, genericamente intesa.

Il principale fattore che genera confusione è la costante tendenza dell’autrice a identificare il kawaii con la produzione di manga e anime, specialmente shojo, facendo pertanto un uso improprio dei termini in questione. Manga e anime, per via della molteplicità di target di riferimento e di titoli, non possono essere intesi come kawaii tout court, non essendo ammissibile una simile generalizzazione, o perlomeno non quando viene del tutto omessa una necessaria premessa che specifichi adeguatamente la portata del significato di questi vocaboli.

Si rileva quindi una certa superficialità nell’associare i manga per ragazze a questo particolare gusto estetico che è il kawaii, per un’analisi approssimativa che sembra non tenere in minimo conto una tradizione fumettistica di oltre mezzo secolo, che si avvale di determinati stilemi grafici innanzitutto per precise esigenze narrative e comunicative, che vanno ben al di là della semplice fuga da un reale deludente e frustrante. In quest’ottica, porre sullo stesso piano il celebre personaggio di Hello Kitty con grandi opere come “Versailles No Bara”, l’indimenticata Lady Oscar, o la più recente “Nana”, appare decisamente una forzatura in quanto non supportata da un giusto approfondimento in merito agli eventuali temi ed elementi di contatto.

Molte perplessità suscita anche la scelta di accomunare i c.d. otaku – intesi nell’accezione negativa che viene attribuita a questo termine – e le lettrici di shojo, individuando come unica differenza il solo fatto che i primi non sono attratti esclusivamente da storie di tipo sentimentale, ma da qualsiasi oggetto legato al mondo fumettistico/animato.

Far coincidere in modo indiscriminato la produzione di manga e anime con il concetto di senso estetico e grafico del Sol Levante, evidentemente ben più ampio ed articolato del solo kawaii, inficia pesantemente il piano dell’analisi che vuole esplorare il disagio che si cela dietro a certe espressioni artistiche, che pur nella loro innegabile rilevanza, non sono comunque rappresentative in modo esaustivo di un impianto culturale millenario quale è quello nipponico.

In questo senso, anche gli interventi su tendenze e stili nella moda, su tutti il gothic lolita, rimangono un po’ sospesi e fini a se stessi, quasi esulando dal tema principale, e contribuendo in questo contesto a creare un’immagine piuttosto distorta, ma soprattutto poco chiara, di certi comportamenti.

Gli spunti di riflessione sono comunque interessanti e ben presentati, in particolar modo nella parte relativa all’arte propriamente intesa. Il collegamento tra malessere sociale ed espressione grafica è senz’altro un tema dalle mille sfaccettature, che gli amanti del Giappone dovrebbero prendere in considerazione per approfondire l’ennesimo paradosso di un Paese che esercita da sempre un forte fascino.

L’edizione proposta da Tunuè è ben curata, con un formato che ben si adatta a questa collana dedicata a “effervescenti” riflessioni sulla pop art. Il volume inoltre include quindici pagine a colori su carta lucida. Il rapporto qualità-prezzo è pertanto accettabile.

“Kawaii Art” è una lettura tutto sommato stimolante, che avrebbe forse meritato maggior respiro per esplicitare al meglio alcuni elementi indispensabili ad orientarsi in questo universo, ed evitare così alcune incongruenze, tanto più laddove si corre il rischio di riaccendere polemiche e diffidenze nei confronti dei prodotti culturali del Giappone. Un’opera che sicuramente potrà essere apprezzata e recepita in modo più critico da chi già conosce le caratteristiche fondamentali del sistema socio-culturale del Sol Levante.

VOTO: 6,5

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