L’Italia non è un paese per i fumetti

Pubblicato il 30 Agosto 2019 alle 14:00

Questo articolo si dovrebbe aprire sciorinando una serie di numeri e cifre. Quelli generati dalla nostra industria del fumetto – una delle più attive sia dal punto di vista della produzione che della licenza – e dal suo indotto con i visitatori che affollano Lucca Comics and Games, Napoli Comicon, Etna Comics e via discorrendo.

Questo servirebbe (?) da solo a dimostrare all’attore Toni Servillo come le sue dichiarazioni siano abbastanza desuete.

Ovviamente mi sto riferendo a quelle rilasciate durante un’intervista per la promozione di “5 è il numero perfetto” trasposizione cinematografica dell’opera, manteniamoci neutri, di Igort.

Servillo ne parla infatti così:

L’attore appare subito infastidito dal fatto che si parli di un film tratto da un fumetto che definisce “riduttivo” e si affretta ad etichettare il lavoro di Igort come graphic novel che, complice forse la terminologia anglosassone, sarebbe un “genere” più nobile e più vicino alla letteratura. La chiusura poi è forse la dichiarazione più imbarazzante perché il fumetto, nella forma di Topolino, non sarebbe mai arrivato al cinema.

In poco più di 5 minuti di intervista, Servillo dimostra tutta la sua ignoranza e supponenza verso un mondo che evidentemente non gli appartiene piegando termini e diciture in maniera qualunquista e tirando in ballo il povero Topolino accostandosi così a figure politiche di bassissima caratura che trovano nella creatura di Walt Disney il capro espiatorio per denigrare i propri avversari.

A questo punto bisognerebbe citare Eco, Eisner, Groensteen e McCloud per spiegare a Servillo la “differenza” fra fumetto e graphic novel, una differenza che affonda le sue radici tanto nella forma quanto nella sostanza ma di cui penso francamente all’attore interessi poco.

Quello che invece colpisce è come Servillo parli davvero poco del film e sia più impegnato ad affrancare il lavoro cinematografico da quello cartaceo, anche dello stesso Igort che oltre ad essere autore è anche il regista del film, ciarlando di bidimensionalità e tridimensionalità e di taglio cinematografico del disegno di Igort, qualcosa che farebbe accapponare la pelle al già citato Groensteen.

Ora la domanda sorge spontanea: che male le hanno fatto i fumetti sig. Servillo?

Quello che colpisce è la spasmodica ricerca di voler etichettare, additare, o più semplicemente cercare un antagonismo a prescindere per sentirsi rassicurati: è stato davvero così importante voler rimarcare una differenza fra fumetto e graphic novel?

No. Non lo è stato in termini di promozione del film. Se si recita in un film tratto da un fumetto non bisognerebbe criticare quel medium proprio in fase di promozione della pellicola è, commercialmente parlando, un auto-goal clamoroso ma non perché gli incassi saranno bassi piuttosto perché è un bacino a cui l’industria cinematografica italiana potrebbe anzi dovrebbe attingere per rifocillarsi.

E no non lo è stato in termini di avanzamento della cultura e della percezione di essa in Italia. Cosa la infastidisce della nostra cultura? Forse il fatto che possa parlare a tutti grandi e piccini, che possa parlare a diverse estrazioni sociali senza nessun tipo di discriminazione? O forse che la nostra cultura è una delle poche che vive e prospera ancora grazie all’inerzia della passione e dall’entusiasmo? O la disturba doversi recare in una edicola ancor prima che in una libreria specializzata per poter entrare in contatto con un fumetto?

Così come è inequivocabile la popolarità delle sue basi – ha mai sentito parlare di Tex e/o dello sforzo editoriale a lui connesso? – il fumetto italiano ha regalato pagine fondamentali alla letteratura mondiale: Hugo Pratt e il suo Corto Maltese sono fumetti, usciti a puntate su riviste, ma davvero dovremmo sindacarne il lirismo?

La questione è vecchia: il prodotto seriale è meno “nobile” di uno percepito come elitario. Più il linguaggio è rarefatto più ci avvicineremo alla “cultura alta”? Spendere 5€ non equivale in termini di arricchimento a spenderne 20€ seguendo il modo di etichettare la produzione odierna dei fumetti?

Per esponenti come lei della “cultura” in Italia uno dei pochi indotti produttivi rimarrà per sempre relegato in un sottoscala – cinema di genere, animazione, fumetto e arti visive in generale – schiavizzato da una visione paternalistica e accademica arida e specchio di come purtroppo è diventato da qualche anno il nostro bel paese anche in ambiti ben più delicati.

 

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