K.O. a Tel Aviv 3 [Recensione]

Pubblicato il 30 Ottobre 2016 alle 11:25

Cosa succede a Tel Aviv? Ce lo spiega Asaf Hanuka, cartoonist israeliano che descrive le sue vicissitudini quotidiane con un pizzico di ironia e curiosi riferimenti ai supereroi americani in un volume pubblicato da Bao Publishing.

Asaf Hanuka è un autore israeliano messosi in luce con la graphic novel il Divino e con una serie di volumi intitolata K.O. a Tel Aviv. Viene pubblicato in riviste prestigiose del calibro di Rolling Stone, Wall Street Journal e Forbes, giusto per citarne alcune, e in patria insegna illustrazione. Di solito nei suoi lavori si concentra sulle sue vicende quotidiane, più o meno come il compianto Harvey Pekar di American Splendor.

Tuttavia, Hanuka è privo dell’acre sarcasmo di Pekar e la rappresentazione della sua vita è filtrata da una sensibilità onirica e intimista, non priva di ironia e caratterizzata da un sottile velo di malinconia. Devo chiarire che Hanuka, dal punto di vista narrativo, non mi entusiasma.

Non tanto per la descrizione del contesto familiare, composto da lui stesso, una moglie e due figli piccoli. Anzi, su questo ambito, bisogna ammettere che l’autore risulta convincente. Presenta in modo credibile le conversazioni, gli inevitabili screzi della vita di coppia e i problemi con i ragazzini.

E le piccole banalità della vita di tutti i giorni, per esempio, fare le pulizie, comprare una lavatrice, andare al supermercato, assumono, nella loro normalità, una valenza universale che permette a qualsiasi lettore di riconoscersi in ciò che legge.

Cosa mi lascia perplesso, quindi? Israele, ambientazione fondamentale di quasi tutte le brevi storie incluse nel volume, e non si tratta di uno sfondo qualsiasi. Tutti sanno che il conflitto tra israeliani e palestinesi compromette l’esistenza quotidiana e tale questione è appena sfiorata.

In alcune pagine ci sono ovvi, inevitabili riferimenti al terrorismo e persino qualche accenno alla vergognosa politica dei governi israeliani, ma Hanuka non prende una posizione precisa. Anzi, utilizza tale problematica come pretesto per fare una battuta spiritosa sulla sua calvizie, cosa che ho trovato francamente discutibile.

E’ come se in fondo Hanuka volesse insinuare che gli israeliani sono comunque sempre le vittime dei palestinesi tanto cattivi, senza però avere il coraggio di dirlo esplicitamente; e questa ambiguità, ahimè, è ricorrente. Non manca invece la risaputa espressione di solidarietà nei confronti di Charlie Hebdo, giusto per rimanere nei ranghi del conformismo politically correct.

E’ un peccato perché, per ciò che riguarda l’aspetto grafico, K.O. a Tel Aviv è davvero un’opera degna di nota. I disegni sono splendidi, con leggere influenze dell’underground alla Crumb e qualche elemento che può far pensare a Moebius. Hanuka concepisce le tavole con una griglia di sei vignette e ha uno stile fluido, plastico e dinamico di grande impatto.

Il suo non è un tratto naturalistico ma non scade nel grottesco e in eccessi cartoon. Inserisce poi altre tavole composte una sola enorme illustrazione e l’effetto è coinvolgente.

Spesso fa riferimento all’immaginario dei comics statunitensi. Non solo cita Watchmen, il capolavoro di Moore e Gibbons, ma a volte disegna la moglie e i figli come versioni ironiche di Batgirl, del Joker e di altri character dei comic-book americani. Lui stesso in un episodio si immagina come una specie di Superman.

Si occupa inoltre dei colori, a volte intensi e vividi, in altre più sfumati, e il risultato complessivo è di grande bellezza formale.

Come giudicare dunque K.O. a Tel Aviv? Come un fumetto decisamente bello da vedere; molto meno bello da leggere. In ogni caso, abbiamo a che fare con un autore certamente originale che potrebbe piacere a coloro che cercano qualcosa di diverso dai soliti giustizieri in calzamaglia.

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