Stranger Things è una serie ambientata negli anni ottanta in una fittizia cittadina dell’Indiana, una di quelle classiche città dove non succede mai nulla, ma che all’improvviso deve fare i conti con la misteriosa sparizione di un bambino e con l’apparizione di una ragazzina scappata da un laboratorio segreto e dotata di poteri telecinetici.
Questa (semplice) storia viene associata alle migliori tecniche di narrazione divenendo un esempio perfetto di come fare una serie tv.
Stranger Things è l’ennesimo prodotto Netflix di qualità. Una serie fantascientifica ideata da Matt e Ross Duffer, i quali firmano anche la regia.
L’incipit della narrazione è lineare e semplice: dopo una delle tante serate passate a giocare a Dungeons & Dragons, i membri di un ristretto gruppo di amici di cui fanno parte Mike Wheeler, Dustin Henderson, Lucas Sinclair e Will Byers, tornano alle loro case, proprio mentre in un laboratorio segreto alle porte della città si libera una misteriosa creatura che uccide uno scienziato e rapisce il piccolo Will Byers.
Questo essere però non è l’unico fuggitivo dal laboratorio governativo segreto. Da lì scappa anche una bambina senza nome, ma con un tatuaggio a forma di undici che le farà valere il soprannome di Undi (Eleven ed El nella versione americana), la quale entrerà presto a far parte del gruppo di ragazzini nel tentativo di riportare indietro il loro amico scomparso.
Undi è il risultato di un esperimento del laboratorio ed è dunque dotata di poteri paranormali telecinetici, ma non avendo mai vissuto una vita ordinaria non conosce molte parole e il significato di amicizia, famiglia e amore. Saranno gli altri bambini a spiegarglieli, nella ricerca del loro amico scomparso.
Ma veniamo al dunque.
Stranger Things è una serie tv perfetta. Un’esemplare dimostrazione di come si possa creare un buon prodotto televisivo, senza strafare, ma semplicemente facendo le cose come dovrebbero essere fatte. Attenzione: non si sta concludendo che questa serie è la migliore mai creata, ma semplicemente che è priva di difetti e che potrebbe essere adoperata come manuale su come scrivere, produrre e dirigere una serie tv.
Troppo spesso infatti assistiamo a serie che si, sono belle, ma lo sono semplicemente perché sono diverse dalle altre. Perché violano le regole e cercano di essere qualcosa in più di una semplice serie. Prendete ad esempio i “polpettoni” filosofici di True Detective o la drammatica narrazione di The Leftovers. Non che non siano delle belle serie tv, anzi, ma semplicemente lo sono perché osano e cantano fuori dal coro.
Il risultato sarà pure bello, ma in termini di audience non pagano: sappiamo tutti della disastrosa seconda stagione di True Detective (e della sua relativa cancellazione dal palinsesto HBO) così come del sofferto rinnovo per una terza e ultima stagione di The Leftovers.
Troppo spesso presunti series addicted da qualche anno li decantano come i migliori prodotti televisivi di sempre e – ahimè – altrettante volte si dovrebbe rammentare loro di recuperare mostri sacri come Lost, Twin Peaks, The Twilight Zone, Breaking Bad prima di trarre queste pericolose conclusioni.
Il punto è che per essere una top serie si deve raggiungere un equilibrio tra la novità (“wow, questa serie tv è diversa da tutte le altre!”) e le richieste di audience. La morale è che non sempre violare le regole su come si debba fare televisione paga, altre volte basta rispettarle tutte quelle regole per creare un prodotto televisivo di qualità.
Stranger Things fa proprio questo: si presenta come una serie senza troppe pretese con una trama funzionale, una sceneggiatura onesta, un buon cast e una lineare caratterizzazione dei personaggi diventando un caso esemplare di come fare una serie tv.
Sono stati selezionati cinque ambiti, con altrettante ragioni a sostegno della tesi, che verranno argomentati adesso.