Hai to Gensou no Grimgar: l’ennesimo fantasy RPG? [Recensione]

Pubblicato il 15 Giugno 2016 alle 15:25

Fantasy, adolescenti intrappolati in un ambiente violento, un mondo dalle note videoludiche e lotta per la sopravvivenza. Negli ultimi anni queste caratteristiche sono comparse in un enorme numero di serie animate, tanto da far credere ai più che non vi sia più nulla di nuovo da raccontare. Si può davvero affermare che il mercato è saturo?

Dopo l’uscita del fenomeno SAO sono aumentati esponenzialmente anime con trama e caratteristiche simili. Ovviamente Sword Art Online non è stato il capostipite, ma semplicemente la serie che ha riportato alla ribalta il genere.

L’anime prodotto dallo studio A-1, Hai to Gensou no Grimgar (Grimgar di fantasia e cenere), e tratto dalla serie di light novel scritte da Ao Jyumonji, si inserisce nello stesso genere, ma lo fa in un modo personale; adottando un approccio che divide e ha diviso il pubblico.

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Un gruppo di giovani ragazzi e ragazze si ritrovano, senza nessun preavviso, catapultati in un mondo a loro sconosciuto; non ricordano come sono arrivati in quel luogo, né della loro vita precedente a quel momento.

Seguendo il puro istinto, il gruppo arriva in una piccola città dove sono messi davanti ad una scelta obbligata: se vogliono sopravvivere in quel mondo devono entrare a far parte dei “volontari”, una milizia armata il cui unico scopo è uccidere i mostri che infestano quelle terre.

La notizia provoca un’immediata scissione, i ragazzi giudicati più forti e in gamba formano subito una squadra con il chiaro obiettivo di far fronte alle esigenze che la loro condizione richiede, mentre i più deboli e scarsi vengono abbandonati.

Tra coloro che sono etichettati come deboli vi è anche Haruhiro, un giovane ragazzo senza nessun talento particolare. Guidati dal carismatico Manato, Haruhiro e gli altri membri del gruppo di serie B decidono di formare a loro volta un party. Con il passare dei giorni scopriranno che il mondo in cui sono finiti è tutt’altro che pacifico. Per poter comprarsi da mangiare, pagare l’affitto della stamberga dove vivono, insomma per sopravvivere dovranno a tutti i costi scendere in battaglia e uccidere le creature, quali goblin e altri mostri, dalle quale ricavare soldi e merci da rivendere.

Ognuno dei membri del party ha la possibilità di scegliere una classe: guerriero, cavaliere nero, mago, cacciatore, chierico o ladro; quest’ultima classe viene scelta da Haruhiro.

Infine, dopo aver acquistato armi e armature tra le più economiche, guidati dall’intrepido Manato, la squadra può scendere in battaglia. Si renderanno ben presto conto che affrontare anche un solo goblin, il mostro più debole tra tutti, è un’impresa che va ben oltre le loro attuali forze.

Dopo molti tentativi andati a vuoto, intensi sforzi, spirito di squadra e impegno, riescono finalmente ad abbattere il loro primo nemico. La soddisfazione è tanta e l’esperienza acquisita fino a quel momento un tesoro prezioso in vista dei futuri scontri. Passo dopo passo Haruhiro, Manato e gli altri crescono, ma il pericolo è sempre dietro l’angolo e nella vita, indipendentemente dal luogo in cui ci si trova, riserva sempre delle sorprese, alcune belle altre brutte.

La strada da percorrere è ancora molta e tutta in salita, le difficoltà per Haruhiro e i suoi compagni sono appena iniziate.

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Bellissimi paesaggi ad acquerello. Questo è il primo elemento che affascina di Hai to gensou no grimgar: gli sfondi realizzati con colori tenui, toni candidati e sfumati che rendono ogni panorama suggestivo e tranquillizzante.

Lo schema grafico è riproposto in tutto l’arco narrativo, dalla prima all’ultima puntata; poco importa che i personaggi stiano guardando il tramonto, combattendo contro una schiera di goblin, rischiando la vita o semplicemente contemplando un orizzonte che potrebbero non vedere più.

Gli sfondi, uniti ad una musica calma, tranquilla e non molto invasiva creano un clima rilassato e calmo che fa sentire a proprio agio lo spettatore.

Se da un lato questa scelta grafica e stilistica è un pregio, dall’altro costituisce un grave difetto poiché in diversi momenti si verifica un’eccessiva lentezza nella trama ai limiti del tollerabile.

Per quanto suggestivi e affascinanti siano gli sfondi, in più di un’occasione vengono proposti in lunghe schermate fisse dalla durata eccessiva. La colonna sonora è volutamente lasciata in secondo piano, non brilla molto nemmeno in opening o ending, proprio per dare più spazio ai disegni.

Disegni che, oltre per i paesaggi, sono ben curati anche per la delineazione dei tratti dei protagonisti sia durante i momenti statici che dinamici. Gli scontri con i vari goblin o mostri non sono particolarmente dinamici, ma la qualità dei frame non cala.

La trama procede, nel complesso, con alti e bassi: si verificano momenti in cui lo spettatore è incollato allo schermo e desidera vedere cosa succederà nella prossima puntata, ad altri nei quali il ritmo calmo della serie lascia spazio ad una non sempre piacevole sensazione che, di fatto, non stia succedendo niente.

Si tratta, tuttavia, di un lato caratteristico della serie che mischia il tema propriamente del genere avventuroso, a quello di slice of life, in un connubio non sempre ben riuscito.

Haruhiro, il protagonista principale, ha leggermente più spazio degli altri, ma ogni personaggio è discretamente caratterizzato.

A differenza di prodotti analoghi, per ognuno di loro è riservato uno spazio più o meno identico, una scelta che rafforza il senso di gruppo e di unione su cui la serie punta fin dal primo momento.

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A differenza di molte altre serie dalla tematica simile, Hai to gensou no grimgar ha puntato molto sul realismo della storia.

Si apprezza molto il fatto che la serie non perda tempo a spiegare il perché o il per come quei ragazzi siano finiti in un mondo a loro sconosciuto.

A ben vedere non avrebbe avuto senso farlo: primo perché nessuno di loro ricordava la sua vita precedente, secondo era inutile perdere tempo prezioso per definire una spiegazione che, probabilmente, avrebbe lasciato allo spettatore un senso di “già sentito”. Altro aspetto che si apprezza è l’utilizzare personaggi che sono deboli.

Haruhiro, Manato e tutti gli altri sono ragazzi come tanti altri, non i personaggi superpotenti e coraggiosi che si vedono spesso; tutti loro sono spaventati, non vogliono morire, non sono abituati a maneggiare armi e a combattere all’ultimo sangue.

Ecco perché anche sconfiggere un semplice goblin è un’impresa titanica, chiunque di noi, catapultato in un mondo analogo, avrebbe timore ad affrontare un esercito di mostri sapendo che potrebbe morire. Solo con lo sforzo, lo spirito di squadra, il sacrificio di tutti i membri del party e un pizzico di coraggio e determinazione si riesce a compiere passi in avanti.

In diverse occasioni risulta indigesta la pesantezza di alcune puntate e la lentezza della storia, così come varie decisioni di sceneggiatura che potevano essere sfruttate meglio, imprimendogli un impatto maggiore sul pubblico.

Bisogna ammettere che nelle puntate finali il ritmo d’azione aumenta esponenzialmente, in contemporanea con lo sviluppo dei personaggi, tuttavia il senso di profondità e lo spessore psicologico che viene dato alla serie non passa mai in secondo piano.

Tanto quanto i momenti di battaglia, anche quelli di riposo, riflessione e interazione tra i personaggi sono importanti per la crescita personale ed emotiva degli stessi; non solo, servono soprattutto per dare quel tocco di stile “diverso” alla serie.

Rimane infine il titolo dell’opera, significativo e interessante: Hai to gensou no grimgar, in italiano Grimgar di fantasia e cenere, nome che lascia intendere più di un significato.

Buona visione.

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