Hitman: Agent 47 – Recensione

Pubblicato il 1 Novembre 2015 alle 00:02

Nel 1967, Peter Aaron Litvenko diede inizio al programma Agente per creare il soldato perfetto. In preda ai rimorsi, Litvenko fuggì e il Governo chiuse il progetto. In molti provarono a far ripartire il programma ma fallirono. Katia, figlia di Litvenko, vive a Berlino e cerca di scoprire dove sia suo padre. La ragazza viene avvicinata dal misterioso John Smith ed è braccata dall’Agente 47.

Hitman Agent 47

Secondo strike. Anche questa nuova trasposizione dalla celebre saga videoludica di Hitman è stata un buco nell’acqua. Il primo episodio, uscito nel 2007 per la regia del pur talentuoso Xavier Gens, non lasciò alcun segno. Ci riprova senza miglior fortuna l’esordiente tedesco Aleksander Bach mentre alla sceneggiatura torna Skip Woods che non solo aveva lavorato nell’originale ma anche su altri potenziali blockbuster dagli esiti insoddisfacenti come X-Men Le Origini – Wolverine, A-Team e Die Hard – Un buon giorno per morire.

Anche il cast rispecchia la mediocrità del film, dagli anonimi protagonisti Rupert Friend e Hannah Ware, che sembrano comunque gli unici due a crederci davvero, passando per una serie di caratteristi misconosciuti, tra i quali Thomas Kretschmann (il Barone von Strucker nel Marvel Universe cinematografico, Blade 2, Resident Evil Apocalypse, King Kong) e Ciaran Hinds (Tomb Raider 2, Munich, Harry Potter e i Doni della Morte, Ghost Rider 2, John Carter) fino al più noto Zachary Quinto (Heroes, Star Trek), tutti volti cari al popolo nerd, nessuno dei quali riesce davvero a bucare lo schermo.

La storia parte come un Terminator qualsiasi. Katia è la Sarah Connor della situazione. Hitman è la macchina di morte che la insegue e Zachary Quinto è il Kyle Reese giunto per proteggerla. Però il film s’intitola Hitman: Agent 47, quindi appare ovvio chi diventerà il vero eroe. Il vero motore emotivo della pellicola è Katia il cui arco narrativo nella ricerca del padre è di una banalità imbarazzante mentre l’Agente 47 è alle prese col consueto conflitto tra programmazione e libero arbitrio già affrontato in RoboCop e in mille altri film del genere.

Le scene d’azione, che dovrebbero sostenere il film, sono molto derivative, non denotano grandi novità e non riescono a far dimenticare una trama svogliata tanto quanto gli interpreti. Un prodotto che ha già floppato in patria ed esce in Italia in sordina e con enorme ritardo. Per essere un infallibile sicario questo Hitman manca totalmente il bersaglio.

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