Recensione: Pinocchio – Osamu Tezuka – Ronin Manga

Pubblicato il 15 Gennaio 2011 alle 09:00

Casa Editrice: Ronin Manga (Kappa Edizioni)
Autore: Osamu Tezuka
Provenienza
: Giappone
Prezzo
: € 7,90, 11,5 x 17,5, 192 pp., b/n


La storia di Pinocchio non ha bisogno di presentazioni, così come non ne necessita Osamu Tezuka. La prima è semplicemente una delle fiabe più belle, conosciute e raccontate di tutti i tempi; il secondo l’autore che ha rivoluzionato i manga alla radice, il creatore di opere immortali come La Fenice, Black Jack, La storia dei tre Adolf (e in generale più di settecento storie), colui che è stato chiamato “padre” e “dio dei fumetti”. Appare quindi ovvia l’eccezionalità di questo incontro.

Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, romanzo di Carlo Collodi apparso a puntate sul Giornale per Bambini a partire dal 1881, ebbe un forte impatto sull’autore nipponico (tanto che servì anche come ispirazione per il suo Astroboy) ma non sarebbe forse mai giunto ai suoi occhi se non fosse stato per la trasposizione della Disney nel 1940. Il film approdò in Giappone soltanto nel 1952, anno della laurea in medicina di Tezuka, che, estasiato, decise subito di farne una sua versione. Quindi, pur con tutti i sottotesti e le molteplici chiavi di lettura (anche adulte e profonde) che caratterizzano il capolavoro di Collodi, ci troviamo di fronte ad un’opera fortemente influenzata dalla contaminazione americana, e quindi più rivolta all’infanzia rispetto all’originale. Nel bellissimo film d’animazione infatti le situazioni più crude e disturbanti vengono edulcorate, o addirittura tagliate, come l’uccisione del Grillo-parlante da parte di Pinocchio, o la sua impiccagione. Tezuka si pone fra le due versioni, riprendendo alcune vicende non presenti nel film, come quest’ultima appena citata, o la completa trasformazione del burattino in asino, ma restando comunque sulla linea più spiccatamente infantile. Anche narrativamente siamo più vicini al film, con l’ampliamento della parte del Grillo-parlante, la caratterizzazione malvagia del Mangiafuoco, e soprattutto il ruolo della fata Turchina. Del resto non bisogna dimenticare che Tezuka era un grande estimatore dei cartoni animati statunitensi, tanto da riprenderne alcuni stilemi e caratteristiche per rinnovare i suoi manga.

In particolar modo l’origine di Pinocchio appare un connubio fra le due ispirazioni, poiché compare il dimenticato Mastro Ciliegia che porta un pezzo di legno a Geppetto, ma esso non parla e non è animato, e diviene tale solo dopo il desiderio espresso alla fata. È quindi soprattutto nella scelta di cosa tenere e cosa inventare che trova spazio la creatività del maestro giapponese, che sceglie un suo percorso personale per raccontare quest’incredibile e fantasiosa avventura. Tezuka non dimentica mai il pubblico infantile: la semplicità con cui rende situazioni, atteggiamenti, comportamenti ed evoluzioni della trama è agevole a qualsiasi livello. Tutto è sempre chiaro e genuino, e anche le fasi più concitate vengono trasmesse con la massima comprensibilità. Non vengono comunque mai trascurate la complessità e le sfaccettature dei personaggi: la pena, l’ansia, la tristezza e l’affetto pulsano dai volti e dai corpi di persone e creature antropomorfe.

Per adattare sulla pagina i 36 capitoli del libro Tezuka è stato costretto a compiere dei salti temporali secchi e costanti, che ben presto diventano l’andatura definitiva e caratteristica del racconto, il quale procede sempre con una marcia ritmata. Nel viaggio di Pinocchio accade molto nello spazio fra una vignetta e l’altra, in ciò che non viene mostrato. Il tratto usato è particolarmente dolce e morbido, proprio per avvicinarsi all’immaginario grafico disneyano, e i disegni rimangono deliziosi anche a distanza di molti anni, sebbene la riproduzione non sia impeccabile. Del resto i motivi che hanno costretto la casa editrice ad utilizzare delle fotoriproduzioni esulano dai loro demeriti, in quanto non è stato possibile reperire i materiali originali. Il manga (con sovracopertina) è un po’ caro, ed è opinabile la scelta di ribaltarlo per favorire la lettura all’occidentale, ma appare chiaro il tentativo della Ronin di raggiungere il più ampio pubblico possibile (specialmente fra i bambini). Scelta che, considerando il prodotto, non appare neanche poi di tanto sbagliata, in quanto il suo obiettivo sembra più il farsi conoscere che il convincere l’accanito lettore.

Si tratta solo di uno sguardo finora sconosciuto su Pinocchio, un inedito incontro fra occidente e oriente. È ovvio che questa storia non sia qui per rivoluzionare il mondo del fumetto (a questo Tezuka ha già pensato), non è né particolarmente brillante né stimolante. E fra i lavori del maestro ancora inediti ce ne sono altri sicuramente più meritevoli. Ma le vicende narrate, seppur ingenue, o datate, o che quasi non smuovono più i lettori di oggi abituati a ben altro, sono rese in un modo così piacevole da andare oltre i confini della carta stampata. Il valore di questo agile volumetto, che si legge con un sorriso stampato in volto, sta proprio nella sua importanza storica. Un vecchio tassello di una grande carriera, ancora grezzo e incerto, ma prezioso come un reperto archeologico. Pur con tutti i suoi difetti è un bene che sia finalmente giunto nelle nostre mani (anche grazie al patrocinio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi), e chissà, forse qualche bambino scoprirà il magico mondo di Pinocchio proprio grazie a questo fumetto.

Scrive bene Andrea Baricordi nelle note iniziali e nella tenera postfazione: questo volume è “un vero e proprio tesoro riemerso dall’oceano del tempo“. Un gioiello perduto e ritrovato del fumetto mondiale, che ci porta lontano, e per una volta ci fa tornare bambini.


Voto: 9

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