Figli delle tenebre – La storia di Burzum, una recensione

Pubblicato il 13 Gennaio 2015 alle 10:15

Canto notturno del signore del Black Metal della Norvegia

burzum

Per chi non fosse pratico di musica undergroung e dark metal, Burzum, parola derivata dall’universo tolkeniano che nella lingua degli orchi di Mordor significa “oscurità”, è una one-man band norvegese fondata sul carisma nero di Varg Vikernes, unico membro fisso e fondatore. Le sue composizioni black metal, intrise di mitologia norrena, inni al paganismo e grida di ribellione contro la società, continuano a sconvolgere la scena musicale fin dall’uscita del primo album, Burzum, nel 1992, dall’autore stesso considerato il più importante e significativo, con la prima canzone Feeble Screams From Forests Unknown già depositaria di tutto il suo messaggio magico-mitologico. Varg Vikerness proclamò sempre la necessità di un ritorno alla tradizione scandinava, alle credenze mitologiche dei suo avi fondate sul culto di Odino e delle altre divinità del pantheon norvegese, nonché della liberazione dal giogo del cristianesimo, colpevole, a suo dire, di aver calpestato e colonizzato la cultura ancestrale della sua terra.

Decisa influenza ebbero nelle sue primitive opere gli studi e le creazioni fantastiche dell’autore de Il Signore degli Anelli, JRR Tolkien, che, benché inglese, amava profondamente le antiche storie e lingue scandinave. Ne è una prova lo stesso soprannome di Vikernes, “Count Grishnákh“, dal nome di uno degli orchi di Mordor che compaiono nel secondo volume della trilogia. Ma l’influenza tolkieniana va via via affievolendosi, probabilmente colpevole di non impegnarsi troppo a fondo nel rigetto della modernità ipocrita e perbenista. E il cattolico Tolkien non era probabilmente il vate più adatto per proclamare il messaggio di Burzum.

Sfortunatamente, il nome di Varg Vikernes non è legato solamente alle sue performance artistiche e musicali: egli conobbe infatti la prigione, dal 1993 al 2009, per il brutale omicidio del suo produttore discografico e chitarrista del gruppo “Mayhem” Øystein Aarseth, nonché per il rogo di diverse chiese norvegesi, fatti di cronaca che avevano sconvolto la tranquilla quotidianità della ricca Norvegia di inizio anni 90.

Figli delle tenebre, Burzum, Mayhem e l’anima nera del metal, opera dalle giovani firme di Davide Bertaina (testi) e Simone Ragazzoni (disegni) edito da Edizioni BD, è un tuffo nell’acqua gelida della Norvegia degli anni della violenza satanista e ci mostra una ricostruzione disarticolata e grottesca degli avvenimenti che portarono all’arresto di Varg Vikernes, stella nera del black metal. Attraverso le sue stesse parole, raccontate di fronte alla vignetta aperta come ad una telecamera, attraverso ricordi sconnessi, frammenti di cronaca, brani musicali gridati a microfoni logori, muri di fiamme e squarci di boschi contorti, il lettore è lasciato solo a districarsi in un ginepraio di immagini scure con il solo aiuto di qualche rara e compassionevole didascalia. Date e luoghi si confondono con nomi norvegesi dal suono criptico. Non c’è ordine logico nella sequenza dei salti temporali, non c’è un passato né un presente individuabili, né tantomeno punti di riferimento da cui partire o mete intraviste all’orizzonte. Tutto è confuso, pur nella lucidità e quasi giornalistica freddezza con cui è descritta la vicenda, che fa pensare a questo fumetto come ad un articolo di cronaca nera fatto a pezzetti con le forbici da un bambino distratto e poi rimescolato senza pensarci.

L’unico cardine arrugginito di questo meccanismo in disordine resta Varg Vikernes, l’uomo, il giovane, il ragazzo cresciuto nel benessere. ma con un nome che cominciò presto a provocargli allergia, Kristian. E poi il musicista, il contestatore, il provocatore, il violento, capace di creare una vera e propria rete invisibile di gruppi metal in tutta la Norvegia, tramite cui organizzare le sue distorte manifestazioni anti-sistema, gli incendi, le decapitazioni di animali, gli attacchi. Quello che si percepisce, più che comprendere, è il suo rapido declino mentale e morale e la portata e pericolosità della sua ferocia, che avrà come ultimo stadio il gesto di malvagità estrema, l’omicidio.

L’atmosfera funebre e il severo bianconero, interrotto soltanto da una manciata di vignette grigio lapis, come dimenticate dall’inchiostratore, esprimono perfettamente il senso di cupo stordimento che circonda la vicenda di Burzum, assieme al turbamento delle autorità, che brancolavano letteralmente “nel buio”. Il lettore si trova sprofondato nell’interminabile notte artica, una sorta di moderno mito noir che la folta generazione di scrittori di thriller scandinavi, Stieg Larsson in testa, ha contribuito a radicare nelle nostre impressionabili fantasie “meridionali” e che ci fa domandare con un brivido lungo la schiena se sorga mai il sole in quelle terre così ricche e così inospitali.

Il caso curioso di una coppia di autori italiani che sceglie di sondare una realtà così distante da noi non può che suscitare ammirazione, come lodevole è l’intenso studio delle fonti e delle testimonianze, ordinatamente citate al termine dell’opera, compiuto dal duo Bertania-Ragazzoni prima di realizzare il fumetto e che ne provano l’alto livello di accuratezza formale. Una cura progettuale che sembra stridere con il disordine della narrazione; senso di ambiguità percepito dal lettore anche a livello grafico: il tratto di Simone Ragazzoni, infatti, netto e realistico, se ben richiama gli ultimi decenni del secondo millennio, fatica a trasmettere l’inquietudine e il caos mentale che governano i protagonisti. Impalpabile risulta così l’analisi psicologica dei personaggi, trascinati nelle loro missioni sataniste da ragionamenti illogici, ma rappresentati con calma e freddezza litografica. L’elemento più sinistro dell’intero volume, quantomeno a livello visivo, sono forse i teschi radiografati, che, inseriti ad intermittenza tra un capitolo (scheggia pazza di narrazione, anello completamente slegato dal precedente e dal successivo) e l’altro, richiamano ossessivamente il tema dominante della vita di Varg: la tomba e la morte.

Un progetto interessante, dunque, e preparato secondo un piano di ben maggiore intelligenza rispetto al terremoto metal che intende rappresentare. Un caleidoscopio biografico composta dalle scaglie di vetro nero della storia di un musicista controverso, di un uomo sceso dalle vette del benessere norvegese al baratro del carcere e dell’omicidio. Ciò che sembra mancare è una lettura personale della vicenda, un tono di umanità alle pagine, senza necessariamente dover esprimere una nota di giudizio, ma che avrebbe contribuito a coinvolgere più intimamente lo spettatore.

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