Made in Italy # 2: Una chiacchierata con Gianluca Maconi

Pubblicato il 31 Gennaio 2011 alle 13:00

Sono seduto in una delle sale dell’Alastor Napoli, tra una statua di Superman ed una di Batman “film version”. Davanti a me Gianluca Maconi, anch’egli esponente di una generazione di giovani autori italiani dotati di talento e di ottime idee.

Lo conoscevo senza conoscerlo, perché ci siamo spesso incontrati in fumetteria, restando del tempo a chiacchierare, come viene naturale a quelli che condividono fortemente una passione.

Avevo letto molti dei suoi libri e lo avevo trovato assolutamente versatile: un autore capace di variare gli stili di disegno, ma anche abile nello scrivere (in Italia vi è spesso il pregiudizio che chi sa disegnare non sappia raccontar storie).

Si parlava un giorno di come l’informazione fumettistica si affretti a recensire l’ultimo volume di Tex (con tutto il rispetto, per carità), e non si dedichi alle produzioni nostrane che, pur di alto livello, restano soffocate negli scaffali o confuse tra le pagine delle riviste specializzate.

Gli dissi che ero assolutamente d’accordo, e che la nostra linea editoriale (quella di Mangaforever.net) è certamente diversa, e che ci preme fare informazione anche in tal senso.

Poi ho scoperto che non avevamo mai recensito uno dei suoi lavori, ed allora mi sono detto che dovevamo assolutamente rimediare.

Eccomi qui, dunque, tra un’udienza ed un inventario, a discutere di quello che mi piace con una persona che stimo. Cosa si può chiedere di meglio?

Armando Perna: Gianluca Maconi, classe ’77, nato a Pordenone: la tua vita (professionale) in tre parole.
Gianluca Maconi: Dopo aver disegnato per fanzine ed altri giornali di dubbia origine ho fatto il mio esordio con “I delitti di Alleghe” per Becco Giallo su sceneggiatura di Maraviglia (Andrés n.d.r.). Per lo stesso editore, come autore unico, ho pubblicato “Il delitto Pasolini”…

E qui scusami, ma ti blocco un attimo: siamo già a due delitti, come mai? D’accordo Pasolini, che è anche un mito, ma per l’altro ti sei andato a pescare i delitti di Alleghe, un mistero giudiziario poco noto persino agli addetti ai lavori.
Quello dei delitti di Alleghe è un discorso di linea editoriale nel senso che mi è stato proposto esplicitamente dai ragazzi del BeccoGiallo che volevano cominciare con il filone della cronaca nera a fumetti. Unabomber di Paolo Cossi ne è un altro esempio. Ricordo che mi si presentò Guido (Ostanel, direttore editoriale, n.d.r.) del BeccoGiallo con un sacco di documentazione compresa una puntata di Blu Notte. Io e Guido siamo anche andati sul posto per procurarci altro materiale. Mentre eravamo in un negozio abbiamo fatto un paio di domande ed il negoziante, con faccia serissima, ci ha guardato e ci ha detto: “adesso voi uscite dal negozio, salite in macchina ed andate via dal paese sennò si mette male per voi”. In seguito abbiamo saputo che anche la troupe di Lucarelli aveva passato un antipatico quarto d’ora: non è mai piacevole per le persone del posto rivangare un certo tipo di storie, anche a distanza di anni.

E il delitto Pasolini?
Il delitto Pasolini era già il tentativo da parte dell’editore di fare qualcosa di diverso. Il crimine è marginale, nel senso che si concentra più sul personaggio che sul delitto, che c’è, ma è utilizzato come espediente narrativo per raccontare il resto. Ho avuto, in questo caso, maggiore libertà di agire, oltre a parlare di un personaggio che volevo raccontare. Partendo dal personaggio, ho voluto parlare anche del linguaggio e della comunicazione. Ad esempio la questione del montaggio: Pasolini diceva che la vita di un uomo si può giudicare solo quando è finita e si possono montare le scene, gli episodi. Non avremo forse veramente quella persona ma avrai di certo riusciremo a trovare un senso, una “morale”. È per questo che credo che le storie siano più importanti degli eventi reali. Come nel nuovo testamento, non è importante che sia tutto vero, è importante che ci sia quella storia, e che qualcuno la racconti.

C’è una domanda che mi piace fare a tutti quelli che lo fanno di mestiere: come si diventa “fumettari”? Quali pulsioni sono alla base del lavoro che fai?
Non lo so, non l’ho ancora capito [ride]. Scherzo, ognuno ha le sue motivazioni, ovviamente. Per me è un’esigenza fortissima. Mi piace, soprattutto disegnare: se alla fine della giornata non ho disegnato almeno una pagina sto male. Ma è un lavoro che richiede tantissima dedizione che non viene spesso riconosciuta. E’ impossibile farlo senza una grandissima passione. Non saprei dire però quando ho preso la decisione: ricordo che ho sempre disegnato e creato storie più o meno balorde [ride]

La tua formazione? Le tue letture?
Sono diventato assiduo lettore di fumetti all’inizio delle superiori, che poi è il periodo in cui si cominciano ad avere i primi soldi in tasca. Prima c’era solo l’immancabile Topolino il martedì, poi, come per magia, l’Uomo Ragno, Zero della Granata Press. Compravo un sacco di cose ma le riviste, per così dire serie, tipo L’Eternauta, Totem, Comic art, le guardavo da amici più grandi, perché per le mie tasche erano onerose, compensavo con la quantità [ride]. Un amico aveva tutta la collezione delle opere di Andrea Pazienza, che per me era un problema anche solo reperire!

Poi narrativa di genere: sono cresciuto con L’Urania: andavo in giro per mercatini a cercare quei libracci bianchi.

Riguardo ai classici certamente il Candido di Voltaire del quale mi ripropongo, ogni tanto, di fare una versione a fumetti, ogni volta con nuove meditazioni, perché dai tempi dell’autore francese l’umanità ha fatto altri malanni, soprattutto negli ultimi tempi.

Poi c’è il Viaggio verso occidente che mi ha influenzato in una maniera drammatica oserei dire ed ho dovuto proprio farne un fumetto, poi ci sono altri libri come il Mahabharata o il Ramayana, le Mille e una notte, le saghe nordiche..

Ora sembrerà che sono un patito di cose asiatiche, invece trovo fondamentale la letteratura europea: ritengo che l’umanità non sarebbe la stessa senza R.L. Stevenson. Io invece non sarei lo stesso se non avessi letto la Guida galattica per autostoppisti (di Douglas Adams n.d.r.): è il libro che ho letto più volte ed ho regalato più spesso ai miei amici. Purtroppo senza avere sempre riscontro positivo: “Beh, si, carino”, ha detto qualcuno. Non credo che queste persone siano ancora mie amiche[ride].

Modelli a livello artistico?
Essere onnivori aiuta. Dal punto di vista fumettistico ci sono alcuni personaggi imprescindibili come Breccia, Toth, Eisner, che son quelli che citano praticamente tutti. Ovviamente Osamu Tezuka. Massimo De Vita e Giorgio Cavazzano poi non ne parliamo. Nella mia formazione è stato importantissimo, però, il fumetto americano, John Byrne su tutti che per me era il massimo quando ero ragazzino. Poi sfortunatamente è nata l’Image e mi è venuta una forte antipatia per buona parte del fumetto americano [ride] tranne Erik Larsen che si è dimostrato un autore solido sotto molti profili.

Ultimo fumetto letto?
Le ristampe di Enigma e Human Target: Milligan è uno sceneggiatore che mi piace moltissimo, e poi sono disegnati da Duncan Fregredo e Edvin Biukovic. Invece ieri sera leggevo una biografia di Tezuka. Poi Vagabond: adoro Inoue. Sul comodino adesso ci dovrebbe essere anche un Tex, ma perchè di Mastantuono compro tutto.

Andiamo avanti con i tuoi lavori: Monkey Business, Tafferuglio…
… Ovvero il viaggio verso occidente in tutte le sue declinazioni. Sia io che Lavieri, l’editore vorremmo fare una trasposizione di tutto il romanzo, che è piuttosto lungo. Dopo Tafferuglio in Paradiso ci siamo quindi presi una pausa, visto, tra l’altro, che c’è una specie di finale. Il tutto aspettando di capire se questo dannato mercato ci mette in condizione di completare l’opera. L’adattamento del Viaggio verso occidente nacque un po’ per gioco, a casa di quell’amico che aveva tutta la collezione de L’Eternauta: facemmo la scommessa che non sarei mai riuscito a trasformare la prima prte della storia, diciamo le origini dello Scimmiotto in un fumetto di 300 pagine. Io mi ci misi d’impegno e tre giorni dopo gli portai i layout. Poi lo feci leggere a Marcello Buonomo di Lavieri, a cui piacque e decidemmo di pubblicarlo. Mi piacerebbe proseguire col resto della saga.

Ho trovato l’opera non solo interessante ma anche accessibile al grande pubblico per via dello stile “fumettoso”
Beh, sì, anche mettere delle gag aiuta, anche se alla base della storia ci sono intenti ben diversi. Lo scimmiotto per me, soprattutto il primo volume, è un libro che parla di religione: dovevo usare parole esatte, e perfino la divisione dei capitoli rappresenta i passi della crescita spirituale dell’individuo. Anche il “risveglio” del protagonista avviene per gradi. Molta gente mi ha detto: “ma come, è illuminato e rimane bisbetico?”. Non c’entra: quello è il suo carattere, la sua natura. Pur illuminato resta sempre una scimmia!

Progetti per il futuro.
Mi piacerebbe mettere a fumetti il Mahābhārata che è semplicemente il romanzo epico più lungo che esista. Ho visto che ci sta provando anche Grant Morrison, dannato, ma per il momento non sembra riuscirci neanche lui! [ride] E poi non mi piace tanto l’approccio “tamarro” che gli ha dato.

Ti riferisci a 18 Days, vero? Anche secondo me non ne farà un fumetto. Piuttosto virerà sul cartone animato/film d’animazione.
Anch’io pensavo di partire dalla battaglia e poi andare indietro con flashback per raccontare i personaggi. Se si va in maniera sincronica ci vogliono 20 anni per arrivare alla battaglia e poi altri 5 solo di quella ed il lettore non ce la farebbe a sopportare una cosa del genere. E’ chiaramente un progetto a lungo termine.

Mediterranea?
Recentemente è uscito il n.4, l’ultimo disegnato da me. Dal numero 5 subentrerà la giovanissima Livia Pastore. Il rapporto col GG studio è terminato perché avevamo esigenze lavorative molto diverse, ad esempio a me non piace disegnare a matita mentre per scelte editoriali e di colorazione ho dovuto farlo, ma mi faceva impazzire. Io di solito uso pochissimo la matita. Se non vedo il nero sulla tavola non ce la faccio. Considera poi che sono mancino, a matita sporco le tavole, e sono quindi costretto ad usare matite durissime. Un po’ mi dispiace: GG studios ha un potenziale molto forte. Magari in futuro si lavorerà ancora insieme, inchiostrando [ride].

L’esperimento di Tales of Avalon (recensito dal sottoscritto)?
L’esperimento Tales of Avalon deve continuare. Ci sarà un secondo albo, ovviamente, altrimenti lasceremmo i lettori in sospeso e non è bello. E’ nato con un caro amico, il “mitico” disegnatore Alessandro Micelli: volevamo fare un blog e coinvolgere ogni settimana un disegnatore diverso per fargli disegnare una tavola partendo da quelle che poteva vedere sul blog, a braccio, un delirio dadaista-kyrbiano insomma. Invece appena coinvolte un po’ di persone, visto che l’idea divertiva, abbiamo deciso di farne un volume. Siamo ancora tutti legati al supporto cartaceo.

Che ci dici del tuo ultimo lavoro: Electric requiem, una biografia a fumetti di Jimi Hendrix?
Nasce in collaborazione con Mattia Colombara, appassionatissimo di musica e letteratura. In realtà volevamo fare la biografia di Frank Zappa (con cui peraltro condivido la data nascita) che è un po’ il nostro mito. Siamo arrivati da Hazard con cui si parlava già di fare qualcosa insieme. Gianni Miriantini che è, invece, un fanatico di Hendrix ci ha proposto di cambiare star e, dato che l’idea ci era parsa altrettanto divertente, abbiamo accettato.

Volevamo fare una cosa più universale possibile, rivolta anche chi non ama o conosce bene Hendrix. La cosa più divertente è stata provare a disegnare un Jimi che fosse mio. Per lo stile è molto vario: una prima parte ricca di tratteggio, la seconda molto grafica, ed una terza in cui uso spesso pennello a secco. Ho voluto studiare e poi cambiare tecnica: dopo così tante pagine se non si cambia c’è il rischio che subentri la noia.

Quanto ha influenzato Mike Allred ed il suo Red Rocket 7?
Abbiam giocato con lo stesso periodo storico, quindi le similitudini ci sono eccome! Anche a me piace fare tavole con un sacco di personaggi all’interno (come ho fatto sul mio blog con i cattivi del dr Who). In ogni caso Mike è un “personaggio” che amo ed ho sempre amato per come riesce a fare un fumetto di supereroi che, in realtà, è semplicemente lui. L’ho conosciuto quest’anno a Lucca, ospite di Bao Publishing, e adesso che lo conosco lo apprezzo ancora di più.

Due risposte brevi, in chiusura: altri progetti futuri?
Tantissimi. La prossima domanda? [ride]

Cosa manca al fumetto italiano?
La visibilità, è quella la fregatura. Ci son tanti piccoli editori che contano, ma nessuno ha una mentalità veramente imprenditoriale. Non c’è l’idea di dover rischiare e ci si accontenta di andare in pari. Non ci sono molti spazi per costruire, lo sfruttamento del mercato librario però non so dove può portare. Credo che dovremo recuperare la fascia di lettori che abbiamo lasciato, ovvero quella dell’età a cui abbiamo cominciato noi, intorno ai 13-14 anni. Dobbiamo costruire nuovi lettori in quelli che oggi leggono solo manga, per esempio Naruto, che incidentalmente è anche un buon fumetto, ma che non arriverebbero, se non guidati, a leggere Il delitto Pasolini o, quantomeno, Watchmen: piuttosto invecchieranno insieme al personaggio o smetteranno di leggere. E’ lì che dobbiamo puntare. Non a fare noiosi e pesanti fumetti intellettuali per adulti, ma riscoprire con intelligenza il fumetto d’evasione.

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