Polar di Jonas Åkerlund | Recensione

Pubblicato il 26 Gennaio 2019 alle 16:00

Il nuovo noir/action con Mads Mikkelsen è attualmente disponibile su Netflix.

Che esista il cinema coatto – popolato di stereotipi tirati a lucido e tipicamente rivolto all’action – è un dato di fatto, così com’è un dato di fatto che, se sostenuto da un’idea chiara (e che magari sia perfino realizzata bene), anche il cinema coatto sa essere tanto bello quanto divertente.

Un altro dato di fatto è che Polar, nuovo film Netflix diretto da Jonas Åkerlund, sia al cento per cento cinema coatto, ma purtroppo non sa essere né bello né tanto meno divertente: al lato opposto dei capolavori recenti proposti dalla compagnia di streaming on demand come Roma, La Ballata di Buster Scruggs e L’Altra Faccia del Vento, il film con Mads Mikkelsen in versione Solid Snake prova a calcare le sue atmosfere noir sopra l’impalcatura fumettosa che ne è alla base (la sceneggiatura è tratta dall’omonima graphic novel di Victor Santos), ma il matrimonio non riesce e il suo frutto è un minestrone di cliché che ha perfino l’arroganza di prendersi sul serio, quando invece avrebbe potuto ottenere risultati ben diversi enfatizzando il suo spirito grottesco. Se state cercando un’opera che riesca a non rendere divertente la violenza gratuita e spogliare le sue (numerose) scene di sesso da ogni sfumatura di erotismo, siete nel posto giusto.

Il killer Duncan Vizla (Mikkelsen) è un assassino letale e spietato che è riuscito ad arrivare a due settimane dai suoi cinquant’anni e quindi è ormai alla soglia del tanto atteso ritiro dalla scena.  A Blut (Matt Lucas), il suo datore di lavoro, questa pensione anticipata però non va tanto giù, e preferisce pagare qualcuno per toglierlo di mezzo piuttosto che concedere a Vizla la lauta ricompensa pattuita: decide così di mettere alle calcagna del suo ex uomo migliore cinque giovani killer, che attraverseranno l’America in un viaggio di sangue e violenza.

Rifugiatosi in una baita in Montana, Vizla conoscerà Camille (Vanessa Hudges), una vicina a sua volta reduce da traumi emotivi. Riuscirà il nostro eroe ad iniziare la nuova vita che tanto desidera? Dovrete arrivare alla fine del film per scoprirlo, anche se ciò che incontrerete lungo la strada vi spingerà più volte a desistere.

Polar sembra non aver mai sentito parlare del proverbio che sostiene che il troppo stroppia, e il suo regista fa terminare praticamente ogni sequenza – a parte quelle di intimità fra Vizla e Camille – con un omicidio grottesco, una testa che esplode, una tortura, un gesto di violenza. E’ irritante anche l’esagerato numero di personaggi introdotti solo per poterli uccidere al termine della scena, una formula reiterata di continuo che oltre a gridare alla prevedibilità, segnala grossi limiti di inventiva e soprattutto abbassa progressivamente la soglia della noia.

Ogni scelta visiva è già stata vista da qualche altra parte, ogni battuta è già stata recitata, ogni singola idea sembra il frutto di qualcos’altro o qualcun’altro e non della troupe che ha realizzato il film. Più triste di ogni altra cosa – a patto che possa esistere qualcosa di più triste del sesso stereotipato al punto da perdere ogni grado di eccitazione – è la volontà con la quale il film cerca di mettersi in mostra, spacciandosi di continuo per ciò che non è: originale.

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