Bird Box di Susanne Bier | Recensione

Pubblicato il 25 Dicembre 2018 alle 20:00

L’horror post-apocalittico con Sandra Bullock è attualmente disponibile su Netflix.

La hit horror del 2018 A Quiet Place diventa “A Blind Place” sotto il marchio Netflix, nel thriller post-apocalittico Bird Box, con Sandra Bullock nel ruolo da protagonista. Il film di Susanne Bier si muove tra le atmosfere del cinema di George Romero e quelle di ovidiana memoria del mito di Orfeo e Euridice. Immaginate un mondo nel quale una misteriosa entità, manifestatasi all’improvviso, spinga a suicidarsi chiunque posi il proprio sguardo su di essa.

L’idea alla base del film può richiamare quella dell’opera scritta, diretta e interpretata da John Krasinski, ma se lì si giocava con il senso dell’udito – e quindi, con un sound design incredibile, si puntava tutto sulla tensione scaturita dall’assenza di suoni – qui il film non fa del suo concept un punto di forza, una caratteristica peculiare, ma solo un dettaglio di trama: è come se la Bier non avesse la capacità o il coraggio (o entrambi) necessari per elevare il film e dargli un’impronta caratteristica, come invece ha fatto Krasinski pochi mesi fa. Ne risulta un film dal forte impatto ma poco originale, che non riesce ad uscire dall’ombra del più illustre predecessore e soprattutto corredato da un comparto tecnico e narrativo ben più piccolo e modesto rispetto a quanto la brillante trovata di trama meritasse.

Siamo in un futuro prossimo, in cui il mondo è finito per colpa di strani esseri che spingono al suicidio chiunque li guardi (e che noi non vediamo mai, scelta coerente): Sandra Bullock è Malorie, una donna che sta viaggiando insieme a due bambini (forse figli suoi, forse no, lei li chiama “bambino” e “bambina”, grande idea) lungo il corso di un fiume per raggiungere un posto che si dice sia sicuro. Ovviamente, per non rischiare di puntare gli occhi sui mostri che popolano il mondo, i tre devono compiere tutto il viaggio bendati: questa idea è bellissima, incredibilmente avvincente, e con maggior audacia avrebbe reso il film un piccolo cult del genere.

Purtroppo però la Bier la teme, e appena può stacca per tornare al passato, raccontando in flashback come Malorie e quei bambini siano finiti sulla barca, su quel fiume e diretti verso quel posto specifico. A quel punto il film diventa un post-apocalittico come tanti altri, nel quale la protagonista scampa per miracolo al cataclisma che fa crollare la società, si unisce ad un gruppo eterogeneo di sopravvissuti e così via.

Certo siamo totalmente su un altro livello rispetto ai recenti film dello stesso genere prodotti da Netflix, come Extinction o La Fine, ma anche parecchi anni luce di distanza rispetto ad A Quiet Place, evidente termine di paragone: la trama procede anche in maniera ordinata, i personaggi vengono sviluppati con coscienza, tutto è sempre molto inquietante (ottime le musiche di Trent Reznor e Atticus Ross), i dubbi e le reticenze che la protagonista ha sulle proprie abilità genitoriali sono spiegati a dovere (non sorprende vedere il nome di Eric Heisserer, autore di Arrival, alla sceneggiatura), tutto in questo film funziona bene.

Paradossalmente, però, è proprio questa troppa diligenza a limitarlo: il film di Krasinski è tutt’altro che perfetto, ma è nella sua fantastica audacia che trova la quadratura del cerchio, riuscendo a risultare così originale e indimenticabile.

Bird Box è il secchione che studia tantissimo e conosce tutte le risposte, non il genio che si pone quesiti totalmente nuovi ed è disposto a sbagliare pur di trovare una soluzione originale per risolverli.

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