The Old Man & The Gun di David Lowery | Recensione

Pubblicato il 22 Dicembre 2018 alle 15:00

Arriva in Italia The Old Man & The Gun, nuovo film di David Lowery che segna l’epilogo della leggendaria carriera da attore di Robert Redford.

E’ davvero un peccato che The Old Man & The Gun sia preceduto dalla fama di essere “l’ultimo film con Robert Redford“, perché in questo modo il fatto che sia anche e soprattutto un gran bel film rischia di passare in secondo piano. Lo sceneggiatore e regista David Lowery, che dopo Senza Santi in Paradiso, Il Drago Invisibile (con Redford) e Storia di un Fantasma (con Affleck) dimostra di non essere in grado di dirigere un brutto film, allestisce un’opera-commiato delicata ed elegante, crepuscolare e sentita, dal tocco raffinato e il fare incravattato, dal sorriso gentile e un po’ beffardo, che non si accontenta solo di passare lettera d’addio ad un gigante del cinema del ‘900 ma raccoglie una sfida niente male: raccontare l’improbabile storia di un ladro gentiluomo settantenne (nella finzione; nella realtà Redford ha compiuto 82 anni ad agosto) che compie rapine armato solo del suo fascino.

Il cortocircuito è interessante: come mostrare al cinema, e quindi tramite l’uso delle immagini, e soprattutto come rendere credibile una rapina nella quale non ci si serve di una pistola, ma un cappello a falda larga e tanto charme?

Lowery, semplicemente, decide di non farlo, e allora punta i riflettori su Redford, offrendogli la passerella perfetta per brillare: l’attore con il suo ineguagliabile stile affabulatore incarna questo personaggio come nessun altro all’infuori di lui potrebbe fare, e allora il film piuttosto che farci vedere come può un settantenne che sembra un’ottantenne rapinare banche solo con le sue parole, ci fa vedere il personaggio mentre ci spiega come ha fatto, come sta per fare o come farà la prossima volta.  In pratica un film di rapine senza rapine, nel quale è lo spirito libero e impertinente del protagonista a dominare tutto e tutti, a conquistare sia il cuore (della donna che si innamora di lui, Sissy Spacek), sia l’anima del detective che gli dà la caccia (Casey Affleck, sempre perfetto nella parte del depresso, che dal vecchio bandito imparerà a guardare la vita, personale e lavorativa, con occhio diverso, più rilassato, da laissez fair).

E’ una commedia della terza età sui generis che Lowery gestisce magari non sempre in maniera perfetta, ma sicuramente adeguata: giustamente il film non avrebbe potuto essere senza Redford, l’attore si carica l’opera sulle spalle e ne diventa il fulcro intorno al quale ruotano tutti gli altri personaggi, sempre secondari e accessori alla sua storia. Non ne avrebbe avuto bisogno, ma il fatto che il personaggio di Forrest sia scritto così bene e in modo così convincente di certo lo aiuta a delinearne caratteristiche e vizi, con la rapina, l’adrenalina del brivido e questa vita semi-nomade (ha una casa davanti ad un cimitero, e forse è proprio la sua voglia di vita a tenerlo spesso lontano da quel posto) che sembrano poterlo rendere immortale, tanto quanto le gesta che ha compiuto, o che si dice che abbia compiuto.

Il parallelismo tra personaggio e attore che lo interpreta è romantico e vincente: il montaggio finale sembra voler ripercorrere la carriera del divo Hollywoodiano, e lo fa con delle trovate particolarmente eleganti (geniale la scelta di estrapolare un’inquadratura da La Caccia di Arthur Penn per farla sembrare un flashback della vita di Forrest), e se davvero Redford è arrivato al suo ultimo colpo, allora è uno che vale la pena ricordare.

 

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