Boschi Mai Visti di Gipi | Recensione

Pubblicato il 19 Novembre 2018 alle 11:00

Con Boschi Mai Visti, Coconino Press presenta per la prima volta in volume le storie che Gipi realizzò fra il 1994 ed il 2003 per le riviste Cuore, Boxer e Blue. Si tratta di una antologia estremamente variegata che è anche una preziosa testimonianza del percorso artistico dell’autore toscano.

E’ senz’altro bizzarro avere per le mani il nuovo libro di Gipi ovvero Boschi Mai Visti – uscito in concomitanza con il Lucca Comics and Games 2018 – proprio quando al cinema arriva il suo film – Il Ragazzo più Felice del Mondo – coronamento di un percorso artistico sfaccettato e spesso inusuale.

Bizzarro perché da un lato c’è la sua ultimissima creazione che non è un fumetto ma un film e quindi un linguaggio che, pur usando le immagini come il fumetto, ha modalità di esplicitazione diverse e dall’altro invece c’è questo libro che incarna nella maniera più lapalissiana il concetto di antologia.

Boschi Mai Visti è infatti una raccolta di storie brevi, brevissime, strisce e suggestioni che il fumettista toscano ha realizzato fra 1994 il 2003 per le riviste CuoreBoxer e sulla rivista di fumetti erotici Blue e che Coconino Press raccoglie per la primissima volta in volume.

Ed è proprio dalle riviste su cui queste storie sono state originariamente pubblicate che sarebbe d’uopo partire. C’è tutta l’irruenza e l’urgenza del giovane Gipi nella prima metà del volume con tanto sesso, con storie surreali ma anche sordide, e una certa dose di violenza sempre in bilico fra l’autobiografico e il “sentito dire” in una narrativa che, maturando qualche anno dopo, avrebbe fatto soprattutto di questi ultimi elementi il suo marchio di fabbrica.

Nella selezione di storie apparse su Boxer – all’epoca supplemento de Il Manifesto – si affaccia invece la sua anima più socio-politica – così preponderante oggi nei suoi corti che godono di regolari passaggi televisivi – ma sempre contrassegnati da quella delicatezza di un osservatore esterno più interessato ai cambiamenti che avvengono sull’uomo che alle questione politiche in quanto tali.

Da semplici strisce e suggestioni – una o due pagine al massimo – degli esordi, l’autore prende coraggio e si lancia in storia più lunghe e anche più articolate come quelle a tema sessuale di Blue. Qui però il sesso si è scaricato dell’impeto giovanile ed è pretesto per raccontare storie che sembrano bozze di sceneggiature – Appuntamento a Venezia – e/o fanno uscire l’anima più “noir” di Gipi – L’Animaletto di Walt Disney.

E’ indubbio che è da questa manciata di storie però che è evidente l’evoluzione/maturazione dell’autore con un tratto più sicuro, una costruzione della tavola che può giocare con la sicurezza dei riquadri oppure eliminarli del tutto mentre il colore, e l’acquerello, prende il sopravvento come segno distintivo concretizzandosi in quel gioiello che è Diario di Fiume che idealmente chiude questo libro.

In realtà in chiusura ci sono ancora una manciata di storie brevissime che, quasi da corollario all’idea stessa alla base di questa antologia, propongono storie in bianco e nero, a colori, dal tratto sintetico o più articolato mostrando come l’evoluzione ci sia stata in Gipi ma non lineare piuttosto funzionale a quello che l’autore ha messo, mette e metterà su carta negli anni successivi.

Ci sono indubbiamente delle storie fulminanti in Boschi Mai Visti così come ci sono elementi e tematiche che Gipi riprenderà nei suoi libri successivi con un successo devastante – basti raffrontare alcune di queste storie con quelle che poi diventeranno Esterno Notte, Diario di Fiume e Altre Storie e LMVDM – così come giudicare alcune di queste storie in maniera assoluta, ed estrapolate dal loro contesto e dal momento in cui sono state realizzate, sarebbe davvero ingiusto.

E’ più interessante invece rintracciare un certo percorso dell’autore toscano, percorso che si snoda sia nel tratto che nell’uso del colore.

La ricerca costante della sintesi si dilata fra essenzialità, influenze dei grandi del fumetto italiano degli anni ’70 – Pazienza solo per citare il più ovvio e banale, e una costruzione della tavola che ora aborra i riquadri ora li esalta in una tensione fra chiarezza narrativa ed esigenza lirica che trova, qui solo in maniera appena abbozzata, la sua cifra nelle didascalie che diventeranno la culla della voce dell’autore.

Discorso simile si deve fare per il colore dove viene dapprima introdotto timidamente, poi utilizzato, in maniera non del tutto convincente, come elemento narrativo attivo nelle storie, sempre mutuando le lezioni dei grandi del fumetto italiano come Mattotti, per poi maturare e trovare miglior utilizzo in quella tecnica prediletta, l’acquerello, con la quale verrà impreziosito ad esempio il capolavoro unastoria.

In definitiva Boschi Mai Visti è un acquisto sicuramente obbligato per tutti i fan di Gipi, per i neofiti ovviamente è consigliabile partire da altro – personalmente io consiglio sempre Esterno Notte – rimane assodato che questo libro è una testimonianza assolutamente senza filtri del percorso di quello che è oggi il più grande autore di fumetti contemporaneo italiano.

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