Homecoming – Stagione 1 | Recensione

Pubblicato il 3 Novembre 2018 alle 15:00

Un thriller psicologico sul tema del ritorno a casa dei soldati forse un po’ troppo autoriale.

Quando un attore di cinema sceglie di partecipare a una serie tv oramai fa meno notizia di un tempo, data la commistione sempre più frequente di grande e piccolo schermo in corso, però quando lo fa una star come Julia Roberts la questione suscita ancora un certo interesse.

Homecoming la nuova serie di Amazon Prime Video che vede protagonista l’attrice dal sorriso contagiante è un thriller psicologico che riflette in modo nuovo sul tema del ritorno a casa dei soldati, americani come del resto del mondo. Un argomento che di recente già era stato sviscerato dalla serie Marvel’s The Punisher su Netflix ma che qui trova nuova linfa, grazie soprattutto a una struttura narrativa particolare che gioca con l’attenzione dello spettatore.

Da un lato è un drama di mezz’ora e non di un’ora, nello stile di In Treatment (che richiede quindi un limite meno dispendioso di tempo per seguirlo) e infatti al centro abbiamo il personaggio di una terapista, Heidi Bergman (Roberts), incaricata di supervisionare i progressi dei soldati scelti per il programma governativo “Homecoming”, che vuole reinserirli nella vita civile e quotidiana nel modo meno indolore per tutti possibile. Il dolore è proprio la chiave di volta su cui si permea questa storia che strizza l’occhio al cospirazionismo di Goliath, altra serie Amazon, e in generale delle vicende che hanno a che fare con il Governo con la G maiuscola. Forse l’obiettivo di “Homecoming” è un altro? Ci sono delle verità da svelare?

Questi dubbi sono instillati nella mente dello spettatore, perché dall’altro lato, proprio come accadeva in Mr Robot (Homecoming è diretta dal suo creatore, Sam Esmail) la narrazione non è lineare ma piuttosto un continuum di giochi-salti temporali e di mescolamento realtà/finzione. Esmail prende ciò che aveva fatto con la sceneggiatura e qui lo trasporta anche nella regia, che confonde volutamente il punto di vista dei personaggi che insegue con la macchina da presa. Heidi (perfino il nome sembra inventato, volutamente, come verrà detto in una battuta del serial) ora fa un’altra vita e sembra non ricordare misteriosamente nulla della precedente; la serie è ambientata in un futuro più o meno prossimo, mentre il progetto Homecoming ha luogo nel 2018 (ai giorni nostri). Quando un agente del Dipartimento della Difesa (un sempre meraviglioso Shea Whigham) che sta investigando proprio su “Homecoming” cerca di far luce sulla verità – anche se i piani alti gli dicono di lasciar perdere perché sembra sia impantanato in una storia tutto fumo e niente arrosto, elemento tipico del thriller cospirazionista – Heidi sarà costretta a mettere in discussione le proprie scelte e, soprattutto, a ricordarle.

La colonna sonora che gioca con suoni stridenti, tipici anch’essi del thriller, contribuisce ad aumentare la tensione del climax che fin dal primo episodio fa capire che bisognerà arrivare alla fine per comprendere la verità… almeno si spera. Un cast di primordine gravita attorno a Julia Roberts – su tutti Sissy Spacek, oramai quasi habituè nei panni della mamma seriale dopo Bloodline e la recentissima Castle Rock, e Dermot Mulroney che ritrova la Roberts molti anni dopo Il matrimonio del mio migliore amico. Questo è un ulteriore elemento che rende Homecoming forse un po’ troppo autoriale, nel trend delle serie tv attuali più cinematografiche e meno televisive, almeno per quanto riguarda i servizi streaming, puntando più sulla struttura narrativa e sul modo di raccontare la storia, che sulla storia in se e per se, come sembrava fare Sharp Objects.

Ma gli spunti di riflessione, un po’ già visti un po’ nuovi, non mancano e questo basta a rendere Homecoming un telefilm da non perdere nel marasma della peak tv odierna.

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