Dylan Dog 383 – Profondo Nero | Recensione

Pubblicato il 30 Luglio 2018 alle 11:00

Dalle vetrine dell’edicola si riflette la luce del sole, che riesce ad attrarre un infastidito passante: il nuovo Dylan Dog, dalla copertina argentea (argentata, argentina, ecc…) respinge completamente la luce, per celare ancora meglio i profondi abissi oscuri dell’anima narrati all’interno del numero di agosto.

Profondo Nero ha un ospite d’eccezione, che si lascia già intravedere dai riflessi “argentini” della copertina firmata da Gigi Cavenago: il numero 383 della serie regolare vede l’esordio assoluto per la prima volta in Bonelli di Dario Argento, storico regista di film horror conosciuto in tutto il mondo per i suoi capolavori di genere, come Profondo Rosso, Suspiria e Phenomena. L’acclamato regista è affiancato dallo sceneggiatore Stefano Piani, che ha scritto in passato la sceneggiatura del film “argentiano” Dracula 3D, mentre il ruolo di plasmatore grafico di incubi è stato affidato allo storico Corrado Roi.

 

Gli ingredienti ci sono tutti: horror, amore, giustizia, morte e incubo. A causa di un fermo amministrativo del maggiolone per cause sconosciute, Dylan si ritrova a visitare la mostra di un’artista che ritrae alcune persone durante sessioni bdsm. Il nostro eroe all’improvviso viene attratto da una donna stupenda, la stessa che è ritratta nelle foto, e inizia a seguirla pur di conoscere il suo nome. Questa donna, di cui riesce solo a scoprire il nome d’arte (Lais, come l’amante/schiava di Diogene, ritratta successivamente da Hans Holbein nel 1526) invade i sogni di Dylan, chiedendogli di frustarla fino a quando non avrebbe raggiunto il momento di massimo dolore e piacere. Le indagini continuano fino a scoprire che la modella in questione ha, ovviamente, un segreto che deve essere svelato affinché venga salvata dalla spirale autodistruttiva alla quale è legata.

Diciamocelo: una combo migliore di questa per spezzare la calda estate con i tipici brividi di un horror classico non poteva essere meglio di così. Lo stratagemma di traslare due autori che hanno lavorato nel cinema tra le pagine di un fumetto funziona e rende l’horror ancora più palpabile. I movimenti di regia di Argento sono palesi e saltano all’occhio del lettore che ha già visto i suoi film. Il richiamo più evidente si trova all’incirca al centro dell’albo e vede come protagonista Charity, la coinquilina di Lais: i movimenti di camera, che si alternano tra dettagli appena percettibili e spostamenti fluidi del personaggio, ricordano una particolare scena di Profondo Rosso (no spoiler. Posso solo dire che il sottofondo musicale della scena è Death Dies dei Goblin, pezzo che mi risuonava nella testa mentre i miei occhi correvano da una vignetta all’altra).

Si è scelto di affrontare un argomento inusuale per una testata Bonelli: il fil rouge (o meglio, la corda) che lega i protagonisti di questa vicenda è il bdsm, una serie di pratiche estreme volte all’unione del piacere fisico con quello mentale attraverso il “gioco” tra due (a volte anche più) persone, identificabili come master slave. L’unico personaggio esterno a questo mondo è proprio il nostro Dylan, buono per antonomasia e che non farebbe del male a una mosca, figuriamoci a una donna. Lais/Beatrix lo spinge necessariamente a praticare violenza su di lei pur di ottenere la sua safe word: la scena è resa ancora meglio dal tratto di Roi, che distorce il volto etereo di Dylan fino a farlo diventare un misto di sofferenza e rabbia mentre frusta la schiena di Lais/Beatrix.

Su Roi non si possono spendere più di tante parole: lavoro impeccabile come tutti i suoi lavori, scelte grafiche accurate, il suo Dylan spicca tra tutti i personaggi della storia, mentre le donne tendono a confondersi tra loro (che sia una metafora sulla caducità dei sentimenti amorosi di Dylan a cui siamo abituati?). Gran bell’albo estivo e con poche pecche: oltre al flashback iniziale, privo di mordente, si aggiunge una narrazione troppo frettolosa che risente molto della costrizione all’interno delle 96 pagine canoniche. Il classico gioco di Argento che ti fa illudere di aver azzeccato e acchiappato il vero assassino prima della fine qui si vanifica in vista del numero di pagine che ancora mancano prima di finire l’albo. Ma quindi una storia di Dario Argento funziona a fumetti?

Nì. L’esperimento vale la spesa, ma c’è ancora tanto lavoro da fare.

 

Il redazionale di Roberto Recchioni è tristemente manchevole dei consigli musicali da adottare durante la lettura di questo albo. A questo proposito, consiglio vivamente di attingere alla discografia dei Goblin, autori della quasi totalità delle soundtrack dei film di Argento, da alternare ai pezzi dei Massive Attack, di Marylin Manson o dei più eterei Sade ed Enigma.

 

Plus: tra le scene migliori, indubbiamente il premio se lo aggiudica il sogno di Dylan, dove Lais/Beatrix gli parla per la prima volta. a scena, identica a quella di copertina, vede i due al centro di un teatro circolare, circondati da vari animali che li osservano in un momento puramente carnale. La metafora richiama la forma più pericolosa di voyeurismo, quella dove le bestie osservano e commentano il gioco tra master e slave; con i loro grugniti indecifrabili giudicano ciò che è al di fuori di loro, mettendo naso in situazioni dove loro stessi si schifano di entrare. Preferiscono solo osservare il tutto al di fuori delle loro vite come se fosse arte cinematografica, quasi impalpabile e irreale. L’attimo è metaforicamente molto vicino al giudizio esprimibile tramite i social media: in un colpo solo, Argento, Piani e Roi mostrano la violenza quotidiana a un pubblico che gode nel vederla e che ringrazia dopo averne goduto. Un po’ come quelli che salutano il mezzobusto a chiusura di un tg.

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