La Bella e le Bestie di Kaouther Ben Hania | Recensione

Pubblicato il 25 Luglio 2018 alle 20:00

Arriva in Italia il dramma di denuncia proiettato in anteprima al Festival di Cannes 2017.

Dalla sezione Un Certain Regard della settantesima edizione del Festival di Cannes, quella delle polemiche, quella delle code interminabili per i controlli al metal detector, quella della faida con Netflix e soprattutto quella della faida con Netflix, arriva in Italia lo splendido dramma di denuncia sociale della regista tunisina Kaouther Ben Hania, Beauty and the Dogs, da noi tradotto con il leggermente stucchevole titolo La Bella e le Bestie.

Eppure i rinomati tempi geologici con i quali la distribuzione italiana raccoglie film internazionali semisconosciuti (ma comunque validissimi) per portarli nelle nostre sale, per una volta potrebbero premiare l’opera piuttosto che tarparle le ali: dopo che lo scandalo Weinstein ha disastrato Hollywood generando una crescente attenzione da parte dell’occhio dei media nei confronti delle molestie sessuali e dei comportamenti illeciti, generando anche la nascita di movimenti sociali come Time’s Up a MeToo, La Bella e le Bestie arriva da noi nel periodo storico ideale, che potrebbe consentirgli più visibilità di quella che avrebbe avuto se fosse uscito un anno e mezzo fa.

L’autrice natia di Sidi Bouzid, qui al suo terzo lungometraggio dopo Le Challat de TunisZaineb n’aime pas la neige, decide di alzare la voce e affrontare a muso duro le gravissime storture di uno stato tanto corrotto quanto assente, guidato dalla forza motrice di istituzioni oppressive e soprattutto conniventi nei riguardi di quei crimini dai quali esse stesse dovrebbero tutelare il popolo. Ispirata ad una delle tante storie realmente accadute all’interno di una società dilaniata, La Bella e le Bestie racconta la storia di Mariam, una ragazza che sogna una Tunisia e soprattutto un Islam democratico, che però vedrà i suoi sogni andare completamente in frantumi nel corso di una sola notte.

Al termine di una festa studentesca, infatti, la ragazza verrà braccata da un gruppo di poliziotti e stuprata brutalmente nell’autopattuglia, e quando deciderà di farsi avanti in nome dei suoi diritti più basilari per denunciare il crimine agli stessi colleghi dei suoi violentatori, si ritroverà davanti ad una serie di paradossi giuridici e istituzionali che metteranno a dura prova la sua fede nella giustizia e soprattutto nel suo Paese.

Concepito e basato su un’idea registica tanto semplice quanto complessa e d’impatto – quella del track shot continuo – il film si struttura attraverso nove capitoli, ognuno dei quali raccontato in piano sequenza: come in Birdman (ma senza l’ego esagerato di Alejandro González Iñárritu) lo spettatore viene trascinato dietro le spalle della protagonista e costretto a vivere insieme a lei la terribile disavventura, che si svolge quasi totalmente in interni, scelta che contribuisce ad aumentare il feeling teatrale dell’opera e ad avvicinarla a quella del regista di Città del Messico due volte premio Oscar. A differenza del film con Michael Keaton però non c’è nulla di etereo o filosofico, nulla di meta-cinematografico, e le ambizioni della Ben Hania sono prettamente umaniste (e anche intellettualmente oneste: i piani sequenza sono veri, e non ritoccati in post-produzione). La Tunisia descritta nel film sembra una nazione post-apocalittica, una landa desolata dove domina il più forte, un mondo western nel quale i diritti individuali vengono ignorati, nel migliore dei casi, schiacciati e presi a pugni nei peggiori.

E’ un film travolgente, La Bella e le Bestie, di un’eloquenza terribile e capace di restarti dentro. Non potete perderlo.

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