Tex 690 | Recensione

Pubblicato il 9 Aprile 2018 alle 17:00

Tex e Kit Carson si trovano in Messico per sventare un traffico di schiave e vivere un’avventura che non risparmierà azione e colpi di scena.

Pasquale Ruju non sbaglia un colpo. Tanto abile nella narrazione, quanto Tex nello sparare, lo sceneggiatore di casa Bonelli si sta dimostrando infallibile nel suo modo di raccontare il personaggio creato da Gianluigi Bonelli. Ruju ha la grande capacità di lavorare su un canovaccio perfettamente strutturato da decenni quali è quello di Tex, riuscendo però a mettere sempre “la bomba” nei propri albi (così come diceva dei suoi film il grande regista Lucio Fulci).

Pasquale Ruju infatti, da grande amante delle storie thriller che non risparmiano i colpi di scena, riesce sempre a tessere trame che intrecciano il classico canovaccio texiano con ritmi frenetici e cliffhanger capaci di sorprendere il lettore. Ed anche l’albo 690 della serie regolare di Tex, intitolato Le Schiave del Messico, non risparmia ritmi tesi e colpi di scena.

Siamo nella parte Sud del Rio Bravo, in Messico, dove una banda di malviventi sta trasportando un gruppo di ragazze verso gli Stati Uniti, per inserirle nel mercato della prostituzione. Anita, una delle giovani, riesce a fuggire ed a farsi soccorrere da Tex e Kit Carson, i quali scopriranno che dietro al rapimento delle ragazze si nasconde il fuorilegge Reynaldo Saldivar. I due compagni di avventure cercheranno quindi di salvare le giovani messicane, e di ricongiungere Anita alla sorella Blanca, anch’essa vittima della banda di Saldivar.

Ma non tutto è come sembra, e dietro questa caccia ai fuorilegge potrebbero nascondersi misteri, bugie, e conti in sospeso.

Come anticipato prima, l’abilità di Pasquale Ruju nel tessere trame frenetiche, e che non risparmiano sorprese e colpi di scena, è una garanzia nelle storie di Tex. Lo sceneggiatore di casa Bonelli negli ultimi albi non ha sbagliato un colpo, ed è sempre riuscito ad unire la propria cifra stilistica con il “sacro” canovaccio dei fumetti di Tex. E se questa grande storia western va tutt’oggi avanti dopo settant’anni, il merito è anche di sceneggiatori come Ruju, capaci di dare un tocco moderno ad un personaggio con decenni di storia alle spalle, senza snaturarlo.

E chiaramente il curatore della testata, Mauro Boselli, è attento nel calibrare gli ingressi di nuovi sceneggiatori ed a “formarli” per aderire perfettamente al canone texiano.

Un altro grande merito della lunga vita di Tex Willer è un formidabile comparto disegnatori: Giuseppe Prisco (il quale è entrato alla Sergio Bonelli lavorando su Zagor) ha realizzato questo albo con uno stile attento ai dettagli, ma con una linea tratteggiata che lascia un qualcosa di non perfettamente definito, dando un gusto visivo particolare (quasi prattiano) alle terre di frontiera texiana.

L’attraente stile di Prisco e la narrativa rapida e tesa di Ruju creano una perfetta simbiosi soprattutto durante le scene d’azione, nelle quali la perfetta scelta del ritmo del racconto si unisce ad una rappresentazione visiva dell’azione e dell’espressività dei personaggi (soprattutto nei primi piani) davvero appagante.

Le Schiave del Messico è un albo che ha fatto centro, e che consolida la potenza narrativa di Tex Willer a dieci numeri dal tanto atteso numero 700. Inoltre, per chi non avesse mai letto una storia dedicata al ranger di casa Bonelli questo albo (auto-conclusivo) può essere un ottimo approccio. Le trame dinamiche e ricche di sorprese di Ruju sono ottime per i neofiti che si vogliono approcciare al personaggio simbolo di casa Bonelli, senza temerne la classicità.

Così come disse il curatore di Dylan Dog Roberto Recchioni, commentando un paio d’anni fa l’imminente uscita di una sua storia dedicata proprio al rangers di casa Bonelli, “Tex è come gli Ac/Dc, riesce a tramandarsi di padre in figlio“, e a rinnovare la sua forza narrativa di generazione in generazione.

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