Dylan Dog – Speciale n. 31: Il Pianeta dei Morti – Nemico pubblico n. 1 – Recensione

Pubblicato il 2 Ottobre 2017 alle 19:40

Xabaras, creatore del virus che ha trasformato la Terra nel pianeta dei morti viventi, è ormai un uomo anziano che conduce una vita priva di scopo. La sua esistenza ha una svolta inaspettata quando conosce Marlene, una donna che si è sottoposta a numerosi interventi di chirurgia estetica e condivide con lui l’ossessione per l’immortalità. Mentre prende piede il fenomeno dei Flagellanti, cultori di Xabaras, Scotland Yard è in cerca di Dylan Dog, misteriosamente scomparso.

E’ uno Xabaras patetico e decadente quello presentato dal tratto spietato, nervoso e realistico di Sergio Gerasi in apertura del nuovo episodio de Il Pianeta dei Morti, la saga ideata da Alessandro Bilotta, ambientata in un futuro alternativo in cui il vecchio Dylan deve vedersela con un mondo invaso dai Ritornanti. L’arcinemico e padre dell’indagatore dell’incubo viene traslato fuori dalla sua dimensione diegetica, in una realtà decadente e limbica in cui la predominanza di bianco delle tavole sembra rispecchiare il vuoto esistenziale in cui versa il personaggio.

Bilotta aveva operato una destrutturazione simile su Dylan nel capolavoro La macchina umana (n. 356 della serie regolare) ed attua un recupero di Xabaras che difficilmente potrebbe innestarsi nell’attuale corso narrativo della serie regolare. Il villain viene qui privato della sua funzione concettuale, l’uomo che inseguiva l’immortalità è gravato dalla propria vecchiaia, il demonio viene letteralmente spogliato del suo manto spaventoso e reso inoffensivo.

La storia è raccontata dalla sua prospettiva, tanto che nella prima metà del volume, quasi 80 pagine, non c’è traccia di Dylan. Il vecchio scienziato e Marlene, resa mostruosa dalla chirurgia estetica, dovrebbero essere due personaggi respingenti ma, in pieno spirito dylandoghiano, come Sclavi insegna, sono proprio i due emarginati a suscitare l’empatia del lettore che inizia a fare il tifo per loro.

Punto nodale della storia è la ricomparsa di Dylan che va a rovesciare la prospettiva ed avviene in un luogo iconico della mitologia del personaggio. Il palesarsi dell’indagatore dell’incubo innesca la ristrutturazione di Xabaras. Il ritorno del villain passa per quattro momenti nei quali Gerasi cambia stile, il vacuo bianco si tinge di neri sfumati, la deformazione prospettica e la sequenza muta rimandano al cinema espressionista tedesco.

Anche Dylan vive una sua condizione di smarrimento esistenziale espresso attraverso gli incubi che lo riportano al finale di Caccia alle streghe (n. 69 della serie regolare), forse l’albo più meta della serie (oltre a Morgana). Si trattava di una storia provocatoria dal finale aperto e rappresenta una sorta di loop che il vecchio Dylan rivive in sogno. Apportando una chiave di lettura semplicistica si potrebbe pensare che Il Pianeta dei Morti sia un sequel di quella storia e che il sogno possa essere un flashback. Non è (necessariamente) così.

L’incubo, che è la materia di cui vive Dylan, è un mezzo col quale gli universi narrativi del personaggio, da sempre caratterizzato da una forte versatilità interpretativa, si sfiorano piombando l’indagatore in quel disagio interiore, personaggio in cerca di autore, orfano del padre Sclavi e qui in conflitto col genitore diegetico.

Lo scontro iniziato 31 anni fa trova qui un capitolo finale che meritava tanta attesa e che difficilmente potrà essere superato, non solo un faccia a faccia di filosofie ma anche un duello mai così fisico tra antieroe e villain. L’epilogo dell’albo sorprenderà i fan, chiude il cerchio nella questione padre-figlio, e potrebbe mettere la parola fine all’intera saga.

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