Recensione – La Luce sugli Oceani

Pubblicato il 11 Marzo 2017 alle 10:00

Già coppia nella vita reale, Michael Fassbender e Alicia Vikander si innamorano di nuovo nel terzo lungometraggio del regista/sceneggiatore Derek Cianfrance.

Derek Cianfrance è un umanista, e lo è sempre stato. Un umanista estremo, per certi versi, capace di raccontare storie universali attraverso l’individualità, e sempre con tocco autoriale: lo aveva fatto con Blue Valentine, nella straziante storia d’amore fra Ryan Gosling e Michelle Williams che alternava il gioioso passato di due giovani innamorati al drammatico presente di un matrimonio fallito; in Come un Tuono aveva allargato la sua dimensione abbracciando un cast corale, in una storia di generazioni e causalità.

Con La Luce sugli Oceani mette in scena il suo film più intimista, più raccolto, quasi isolazionista, raccontando l’amore e il dolore come pochi altri, oltre a lui, sanno fare oggi.

Il reduce della Prima Guerra mondiale Tom Sherbourne (Fassbender) accetta il lavoro di guardiano del faro di Janus Rock, una piccola isola sulle coste dell’Australia occidentale. Innamoratosi di Isabel Graysmark (Vikander) la sposa e la porta a vivere con se sull’isola, dove tristemente scoprono di non poter avere figli.

Una notte, però, una piccola imbarcazione porterà sulle rocciose sponde di Janus Rock una neonata, fra le braccia di un uomo ormai morto. La coppia deciderà di adottare la bambina, ma l’incontro con Hannah Roennfeldt (Rachel Weisz), madre naturale della piccola, potrebbe cambiare ogni cosa.

E’ un film privo di quegli estremismi espressivi che caratterizzavano i due lavori precedenti del regista, ma è molto più  delicato, chiuso ed intimo, sul tema del doppio (pensate a Janus Rock, che prende il nome dal dio Giano: due sono gli oceani, due sono i protagonisti, due sono le età della vita che ci vengono raccontate), ma anche sul riuscire a comprendere gli altri, sul caos e sull’imprevidibilità della vita.

Cianfrance è bravissimo, in tutti i suoi film, a trasmettere un senso di inquietudine e di malessere attraverso i personaggi e le aspettative create per quei personaggi dalla sceneggiatura.

Il film sarà anche luminoso (come fa intendere il titolo) ma quella luminosità arriverà, forse, solo nell’epilogo: l’oscurità circonda l’isola di Janus Rock fin dall’inizio della pellicola (forse il precedente guardiano è impazzito, forse si è suicidato, forse stiamo entrando in un nuovo Overlook Hotel al sapore di salsedine e sferzato dalle onde), un posto maledetto troppo arido e roccioso perché la vita possa attecchire.

Non sarà affascinante graficamente o tecnicamente quanto Blue Valentine Come un Tuono, ma La Luce sugli Oceani è preziosissimo e significativo in chiave teorico, in chiave espressiva/allegorica: per Cianfrance siamo alla deriva negli oceani della vita, e la nostra unica roccia, la nostra unica isola, potrebbe essere l’amore.

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