La notte del giudizio: Election Year – Recensione

Pubblicato il 1 Agosto 2016 alle 23:44

Anno 2040. La senatrice Charlie Roan si candida alla presidenza degli Stati Uniti per mettere fine alla notte dello Sfogo, un’iniziativa del Governo che consiste in un periodo annuale di dodici ore durante le quali ogni crimine è permesso e gli americani possono sfogare ogni emozione negativa. I Nuovi Padri Fondatori che governano il paese decidono di sfruttare la prossima notte dello Sfogo per eliminare la senatrice.

La notte del giudizio

Imperversa negli USA il confronto tra Hillary Clinton e Donald Trump per la corsa alla Presidenza che si concluderà con le elezioni di novembre e James DeMonaco ne cavalca l’onda portando a conclusione la trilogia di The Purge. La metafora è fin troppo didascalica. Lo Sfogo è un pretesto del Governo per eliminare i senzatetto, i malati e gli svantaggiati della società.

Non a caso, ad opporsi ai Nuovi Padri Fondatori, troviamo una donna candidata alla presidenza, interpretata da Elizabeth Mitchell (i fan di Lost la ricorderanno nel ruolo di Juliet). La affianca Frank Grillo (Crossbones nel Marvel Universe cinematografico) che torna dall’episodio precedente come capo della sicurezza della senatrice. Fa abbastanza specie trovare tra i produttori di un film dall’anima così democratica quel Michael Bay che viene spesso indicato come militarista, repubblicano e conservatore.

La confezione del film è anche pregevole. DeMonaco fa tutto il possibile per amplificarne il realismo, con l’uso di handycam per portare il pubblico sempre nel bel mezzo dell’azione, violenza esplicita con qualche goccia di splatter e buona visionarietà nel look dei “freaks” che aderiscono allo Sfogo. Purtroppo la sceneggiatura non è all’altezza, svuotata dell’approfondimento psicologico che caratterizzava il primo episodio. Rimane solo la lotta di classe sviluppata con dinamiche da guerriglia urbana piuttosto risapute, come pure la caratterizzazione superficiale dei comprimari.

Resta uno dei migliori concept del cinema d’intrattenimento degli ultimi anni con un sottotesto sociopolitico riconducibile e accattivante. Tutta la trilogia, però, denota qualche carenza nello sviluppo sedendosi su risvolti piuttosto convenzionali. Il buon riscontro al botteghino di questo terzo episodio potrebbe comunque aver dato nuova linfa al franchise e non ci sarebbe da stupirsi se venisse messo in cantiere un quarto capitolo. Con un miglior lavoro di scrittura e qualche idea in più, sarebbe anche ben accetto.

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