Ritorno al Futuro – Parte III – Recensione

Pubblicato il 21 Ottobre 2015 alle 18:00

12 novembre 1955. Marty e Doc sono riusciti a salvare il continuum temporale strappando dalle grinfie del giovane Biff un almanacco sportivo proveniente dal futuro. Proprio quando sono in procinto di tornare a casa, nel 1985, la DeLorean viene colpita da un fulmine e Doc finisce nel 1885, ovvero nel vecchio west. Marty deve di nuovo chiedere aiuto al Doc del ’55 per recuperare la macchina del tempo ed andare a salvare l’amico prima che venga ucciso dal fuorilegge Buford “Cane Pazzo” Tannen.

Ritorno al Futuro Parte III

Durante le riprese del primo Ritorno al Futuro, il regista Robert Zemeckis chiese a Michael J. Fox quale epoca storica gli sarebbe piaciuto visitare e l’attore rispose che avrebbe voluto vedere il vecchio west. Fu così che Zemeckis e lo sceneggiatore Bob Gale decisero di ambientare l’episodio conclusivo della trilogia nella Hill Valley di fine ‘800. Ne venne fuori una parodia western solo parzialmente riuscita, più simile, nella struttura, al primo capitolo e molto meno dinamico rispetto al secondo.

Stavolta i fari vengono puntati maggiormente sul personaggio di Doc, troppo in disparte nel film precedente. Il suo arco narrativo regge tutta la storia. Non solo è lui l’uomo da salvare per essersi messo contro Buford Tannen, ovviamente antenato di Biff, interpretato sempre da Thomas F. Wilson, ma è anche al centro della storia d’amore, elemento assente nel secondo episodio. La sua relazione con l’insegnante Clara, una dolce Mary Steenburgen, è il motore emotivo del film anche se non denota la stessa vivacità del surreale triangolo tra Marty, George e Lorraine.

Zemeckis e Gale continuano a giocare con gli echi tra le varie epoche storiche. Anche stavolta Marty e Biff si fronteggiano in un locale pubblico, un saloon, prima di lanciarsi in un inseguimento. Ma lo skateboard e il futuristico hoverboard dei primi due film lasciano qui il posto ad un più prosaico cavallo e la sequenza denota minor spettacolarità.

Michael J. Fox si carica invece sulle spalle praticamente tutte le gag comiche, più o meno riuscite, parodiando in modo particolare Clint Eastwood e i suoi film. Lo scontro finale con Tannen è un omaggio esplicito e metacinematografico a Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Dopo essersi divertito a interpretare i figli di Marty, qui Fox interpreta il suo antenato Seamus, ancora con effetti meno esilaranti.

La componente fantascientifica della storia riguarda ancora il funzionamento della DeLorean. Se nel primo film il problema era quello di attivare il flusso canalizzatore che alimenta la macchina del tempo, stavolta i protagonisti devono vedersela semplicemente con un serbatoio vuoto e decidono di utilizzare la spinta di un treno per portare la DeLorean ad 88 miglia orarie, velocità necessaria per il salto nel tempo. La sequenza è il punto di maggior forza del film. Non avrà la stessa genialità concettuale dell’iconica scena del fulmine alla torre dell’orologio ma riesce ad essere ancor più thrilling grazie a tutta una serie di imprevisti ben congegnati.

Il finale risolve forse troppo in fretta la storia di Marty e il suo problema con l’irascibilità. Il lieto fine per tutti i personaggi è buonista ma giustificabile e la riflessione sul libero arbitrio, seppur superficiale, riesce a dare un senso all’intera trilogia.

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