Exodus – Dei e Re – Recensione

Pubblicato il 13 Gennaio 2015 alle 12:25

1.300 a.C.. Da quattrocento anni gli ebrei sono schiavi sotto il Regno d’Egitto. Il generale Mosé, membro della famiglia reale, scopre di essere un ebreo adottato e viene esiliato nel deserto dal Faraone Ramses, col quale ha un forte legame fraterno. Giunto a Madian, Mosé diventa un pastore e mette su famiglia. Nove anni dopo, una visione di Dio lo spinge a tornare in Egitto per sfidare Ramses e riscattare il suo popolo.

Exodus

In un momento di scarsa inventiva nel quale Hollywood si sta aggrappando ad ogni franchise possibile, anche la Bibbia torna a destare l’interesse dei produttori. Dopo la rilettura del Diluvio Universale ad opera di Darren Aronofsky con il controverso Noah ed in attesa del prossimo Davide e Golia, tocca a Ridley Scott proporre una nuova versione dell’Esodo la cui trasposizione cinematografica più celebre risale al 1956 con I Dieci Comandamenti di Cecil B. DeMille che ne aveva già realizzato una versione muta in bianco e nero nel ’23.

Scott gioca sul sicuro riproponendo la stessa formula de Il Gladiatore. Anche in questo caso, infatti, il film si apre con una grande battaglia (tra l’altro piuttosto inutile), abbiamo un imperatore, interpretato da John Turturro, che preferirebbe come successore l’eroico e saggio generale Mosé ma i suoi poteri dovranno passare all’inetto principe Ramses. E di richiami al film peplum con Russell Crowe ce ne sarebbero altri ancora.

D’altronde la storia dei due amici fraterni che arriveranno a combattersi e l’intero arco narrativo di Mosè sono tra i più archetipici in assoluto. Basti pensare a Superman, creato proprio da due ebrei: un bambino che scampa ad un eccidio viaggiando all’interno di una piccola arca-astronave, cresciuto come profugo, scopre le sue origini e riceve la sua missione dal Dio-padre in un eremo per poi affrontare un avversario che (in alcune versioni della storia dell’Uomo d’Acciaio) è stato suo amico di gioventù e finisce per diventare un uomo potente e corrotto. Il rapporto tra Mosè e Ramses può ricondurre inoltre a quello tra Peter Parker ed Harry Osborn nelle storie di Spider-Man e così via.

In tal senso, sembra quasi indicativo che qui Mosè abbia il volto di Christian Bale, il Batman cinematografico e realistico di Christopher Nolan, ovvero la controparte oscura di Superman. Scott, infatti, opta per la stessa chiave di lettura utilizzata nel suo Robin Hood, cercando quindi di spiegare la verità storica dietro il mito. Se con l’arciere di Sherwood aveva funzionato benino, stavolta il risultato è piuttosto imbarazzante poiché svuota la leggenda del suo sense of wonder originale.

Bale ha descritto il suo Mosè come schizofrenico e i suoi incontri con Dio, che si manifesta nell’aspetto di un bambino, non sarebbero altro che allucinazioni mentre le dieci piaghe d’Egitto e l’apertura del Mar Rosso sarebbero da ricondurre a fenomeni naturali. La riuscita dell’Esodo sarebbe quindi dovuta solo ad una serie di improbabili coincidenze che rendono la narrazione del tutto antiepica. Anche i Dieci Comandamenti vengono spiegati nel modo più razionale e prevedibile.

Come se non bastasse, la storia è raccontata per sommi capi. Le due ore e venti di film risultano addirittura poche, ogni passaggio nella narrazione è piuttosto succinto e non si riesce ad approfondire niente. L’unico interessante elemento di novità sta proprio nella caratterizzazione di Mosè e Ramses. I due non sembrano odiarsi davvero ed agiscono spinti da una volontà superiore con la quale entrano in conflitto ma il tema non viene sviluppato a dovere.

Ben Kingsley, Sigourney Weaver e Aaron Paul sono puramente funzionali e monodimensionali. Ritroviamo Maria Valverde, protagonista del famigerato Melissa P., bellissima ed intensa nel ruolo di Zipporah. Scott sembra prestare più attenzione alla ricostruzione storica e credibile di un’ambientazione che, tra scenografie, costumi ed elementi digitali, regala immagini suggestive soprattutto nelle scene di massa.

Come accaduto a Noah, il film è stato bandito da alcuni paesi musulmani per la rappresentazione ritenuta inesatta di un profeta biblico e per l’etnia dei componenti del cast. A prescindere da quelli che possono essere i temi religiosi, quello dell’Esodo dovrebbe essere anzitutto un racconto mitologico e allegorico in un contesto riconducibile che diviene qui una scialba vicenda fantastorica senza nerbo e che scade involontariamente nel ridicolo.

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