Lo Hobbit – La Battaglia delle Cinque Armate – Recensione

Pubblicato il 17 Dicembre 2014 alle 13:53

Lo hobbit Bilbo Baggins e i tredici nani guidati da Thorin Scudodiquercia hanno involontariamente scatenato l’ira del drago Smaug su Pontelagolungo, difeso dall’eroico Bard. Mentre Galadriel, Saruman e gli altri membri del Bianco Consiglio cercano di strappare lo stregone Gandalf dalle grinfie del Negromante, eserciti di Nani, Elfi, Uomini ed Orchi convergono sulla Montagna Solitaria per una battaglia che deciderà il destino del perduto Regno di Erebor e dell’incredibile tesoro accumulato nelle sue profondità.

Lo Hobbit

Giunge a compimento Lo Hobbit, prequel de Il Signore degli Anelli, concepito originariamente per essere composto da due film e divenuto una trilogia in corso d’opera. Il primo episodio, Un viaggio inaspettato, non ha subito variazioni e si è rivelato un film completo, esaltante, ricco d’invenzioni, che riconcilia con uno spirito d’avventura più scanzonato e divertito rispetto alla prima trilogia e bilancia bene l’approfondimento dei personaggi alla componente action.

Il secondo episodio, il cui titolo originale era Andata e ritorno, è stato poi suddiviso in due parti con la motivazione ufficiale di voler evitare alcuni tagli nel montaggio ma, ad onor del vero, è sembrata semplicemente una mossa commerciale per avere un film in più da gettare in pasto al pubblico. In effetti, La desolazione di Smaug, uscito un anno fa, si è rivelato abbastanza stiracchiato, composto da scene d’azione spettacolari ma appiccicate con lo sputo e con un finale monco.

Il viaggio si conclude ne La Battaglia delle Cinque Armate, titolo che lascia ben intendere l’unica ragion d’essere di questo terzo capitolo. Il film si apre con quello che avrebbe dovuto essere l’epilogo del precedente, ovvero l’attacco del drago Smaug a Pontelagolungo per esaltare le gesta dell’eroico Bard, interpretato da Luke Evans, visto di recente in Dracula Untold e sempre più apprezzato dal pubblico.

Quindi si passa alla marcia d’avvicinamento alla battaglia per Erebor ma non ci si aspetti la massacrante escalation di tensione vista ne Le Due Torri prima della battaglia al Fosso di Helm. Si tratta invece di un’ora di convenevoli perlopiù inutili con i quali il regista Peter Jackson chiude alla bell’e meglio alcuni archi narrativi lasciati in sospeso. La delusione più grossa arriva dal ruolo di Bilbo, presunto protagonista ridotto al minimo sindacale e lasciato completamente in disparte per la maggior parte del film.

Anche Ian McKellen, ancora con il manto grigio di Gandalf sta sullo schermo per poche sequenze. Dopo aver interpretato Smaug in motion capture, Benedict Cumberbatch dà vita anche al Negromante che ancora tiene prigioniero lo stregone. La vicenda viene risolta in una sola scena che funge da semplice collegamento con Il Signore degli Anelli e nella quale ritroviamo tutto il Bianco Consiglio in azione. I mastodontici Hugo Weaving, Cate Blanchett e Christopher Lee si congedano così, in maniera piuttosto dimessa, dai loro personaggi al termine di un viaggio iniziato più di quindici anni fa.

Vero protagonista della storia è Thorin Scudodiquercia che deve scuotersi dall’avidità che lo pervade per guidare i suoi compagni nella grande battaglia finale che occupa un’ora e mezza di film. Come di consueto, nelle mani di Jackson la macchina da presa vola, s’insinua, trascina il pubblico nel bel mezzo del tumulto, anche grazie ad un 3D ben integrato e ad effetti visivi sbalorditivi, inanellando una sfilza di sequenze action una più spettacolare e rocambolesca dell’altra, scene di combattimento coreografate con divertita inventiva ma con un tasso di violenza più edulcorato rispetto ai canoni del regista.

Non c’è più traccia di personaggi, storia, approfondimento. Unica sottotrama resta la stucchevole vicenda sentimentale tra il nano Kili e l’elfo femmina Tauriel, interpretata dall’incantevole e grintosa Evangeline Lilly. Nel ruolo di Legolas, Orlando Bloom ha le solite gag funamboliche, Radagast il Bruno e l’orso mannaro Beorn tornano per una veloce comparsata e niente di più.

Un lavoro traspositivo ritenuto da molti eccessivamente prolisso rispetto alla mole esigua del romanzo tolkieniano originale, l’introduzione della stereoscopia a 48 fps, pionieristica e innovativa quanto straniante, e un’attenzione più superficiale allo sviluppo di personaggi e tematiche ha già sollevato polemiche che questo episodio conclusivo non potrà che alimentare ulteriormente. La magia, il sentimento e l’enfasi epica de Il Signore degli Anelli sono lontani. Resta solo un sontuoso spettacolo visivo.

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