Il Ricco, il Povero e il Maggiordomo – Recensione

Pubblicato il 15 Dicembre 2014 alle 14:15

Il ricco industriale Giacomo e il suo leale maggiordomo Giovanni investono con l’auto il venditore ambulante Aldo. Con l’infido pretesto di un risarcimento, Giacomo inizia a sfruttare Aldo costringendolo a prestare servizio nella sua villa. Quando l’industriale finisce in bancarotta a causa di un crack finanziario, però, Aldo dimostrerà la sua generosità e i tre dovranno fare fronte comune per risolvere la situazione.

Il ricco, il povero e il maggiordomo

Ai tempi di Mai dire gol, la celebre trasmissione della Gialappa’s Band, il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo dava vita ad uno sketch nel quale Giacomo interpretava il bimbo Gigi, ricco, viziato ed egoista, mentre Aldo era un bambino poverissimo ma generoso. Un siparietto divertente nello spirito grottesco e cinico che da sempre contraddistingue l’amatissimo terzetto.

Nella loro nuova fatica cinematografica, che arriva a quattro anni di distanza dal loro ultimo film, sembra di vedere il bimbo Gigi e il bambino povero divenuti adulti con Giovanni a fare da ago della bilancia nelle vesti del maggiordomo. Una lotta di classe che cavalca l’onda dell’attuale crisi economica, punta il dito contro l’avidità di certi esponenti dell’alta finanza esaltando l’arte proletaria dell’arrangiarsi.

I tre protagonisti sono sfaccettati piuttosto bene. Aldo, venditore ambulante che sogna una bancarella ben avviata, è una calamita per le donne, tra cui la nota comica napoletana Rosalia Porcaro, ma le rifugge a causa di una terribile delusione sentimentale. Agli ordini di uno strepitoso Massimo Popolizio in abito talare, allena la squadra di calcetto dell’oratorio composta da bambini extracomunitari e vive con la madre, dignitosa, saggia e combattiva, interpretata dalla grandissima attrice teatrale Giuliana Lojodice.

Giacomo è lo stereotipo dell’industriale milanese razzista e con la puzza sotto al naso, fissato con la poesia, sposato con Sara D’Amario, al suo terzo film con il trio, bella e siliconata, antipatica ed altezzosa, interessata solo al benessere e pronta a scadere nel turpiloquio francofono. Loro figlio viene cresciuto suo malgrado come un signorino, perlopiù ignorato e condannato a diventare un riflesso dei genitori. Il destino economico di Giacomo giace nelle mani di Francesca Neri, versione donna d’affari e panterona sexy.

Nel braccio di ferro tra Giacomo e Aldo s’inserisce Giovanni nel ruolo del maggiordomo che segue la via del bushido, è leale al suo datore di lavoro ma inizia a voltargli le spalle e ad empatizzare con la condizione di Aldo quando vede la sospirata liquidazione prendere il volo e, di conseguenza, non può coronare il suo sogno d’amore con la domestica venezuelana interpretata da Guadalupe Lancho che fa da contraltare al francese della D’Amario con una tempesta di scurrilità in spagnolo.

Il cast, dunque, ce la mette tutta, Aldo, Giovanni e Giacomo dimostrano il consueto affiatamento ma la sceneggiatura non li assiste. Il concept di base è risaputo, i risvolti della trama sono prevedibili e il finale a tarallucci e vino scade in un eccessivo buonismo. Il repertorio comico dei tre protagonisti non denota grosse novità, alcuni spunti surreali fanno sorridere ma le gag slapstick sono stanche e non riescono ad essere esilaranti quanto vorrebbero.

Una riflessione oziosa e retorica sulla stratificazione sociale che gioca su alcuni preconcetti ormai desueti anche in chiave comica. Il film parte con una sincerità di fondo ma perde di cinismo strada facendo e diventa un’edificante favoletta natalizia di buoni sentimenti. La simpatia dei protagonisti resta l’unica ragion d’essere del prodotto.

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