Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 1 – Recensione

Pubblicato il 25 Novembre 2014 alle 00:09

Sopravvissuta agli Hunger Games, l’eroica Katniss Everdeen è stata tratta in salvo dai ribelli e condotta nel Distretto 13. I leader della Resistenza chiedono alla ragazza di diventare il simbolo della rivolta. Indecisa sul da farsi e turbata dagli eventi recenti, Katniss decide di accettare quando scopre che il suo amico Peeta è diventato uno strumento di propaganda del dittatoriale governo di Capitol City.

Hunger Games

Una furbata commerciale. Si può definire solo in questo modo l’idea di suddividere il capitolo finale di Hunger Games in due film, identica operazione effettuata su Twilight, saga cinematografica con la quale ha in comune la matrice letteraria e il target di riferimento, ovvero il pubblico di teenagers che ha decretato entrambe le saghe due fenomeni mondiali altamente remunerative.

Se i primi due episodi di Hunger Games risultavano già particolarmente stucchevoli, banali ed edulcorati per adattarsi ad una platea di ragazzine, questo nuovo capitolo si dimostra davvero insignificante ed irritante oltre misura. La storia perde la sua originale ragion d’essere diventando una vicenda trita e ritrita di una ribellione contro una dittatura nella quale gli Hunger Games non hanno più alcun ruolo.

Tutto il film è nuovamente costruito su Jennifer Lawrence, l’attrice del momento. Katniss passa dall’essere l’eroina dall’immagine barocca e artificiosa che è stata costretta ad interpretare nei primi due episodi ad una più onesta Giovanna D’Arco in quello che si rivela uno scontro mediatico all’acqua di rose contro la propaganda governativa.

Ma l’elemento che continua a rimanere al centro della storia è sempre il triangolo sentimentale con i due inespressivi Liam Hemsworth e Josh Hutcherson. Il primo non è riuscito a conferire profondità al suo personaggio nel giro di tre di film, risulta inutile e patetico dal momento che la protagonista pensa costantemente a Peeta che qui è il solito burattino della dittatura cui è stato fatto il lavaggio del cervello.

Il cast di contorno vede nomi di prima grandezza del tutto sprecati, quasi umiliati in una serie di marchette imbarazzanti, a partire dal compianto Philip Seymour Hoffman, leader dei rivoltosi insieme a Julianne Moore. Con un pretesto narrativo tirato per i capelli, Elizabeth Banks e Woody Harrelson, alleati di Katniss negli episodi precedenti, passano nelle file dei ribelli dove continuano a sostenere e a curare l’immagine dell’eroina. Ancora monodimensionale il presidente Snow dell’immenso Donald Sutherland mentre Stanley Tucci, buon per lui, è ridotto al minimo sindacale.

In questa totale mancanza di idee, i 123 minuti di film procedono nella pressoché assoluta assenza di action e tra mille dialoghi retorici sui simboli della ribellione, dinamiche intimiste, piagnistei e ogni altro mezzuccio per stuzzicare la sensibilità del giovane pubblico femminile. Basti pensare che la scena madre del film vede la Lawrence cantare il brano The hanging tree che va a galvanizzare la resistenza.

Il budget stanziato per la produzione di questi ultimi due episodi cinematografici della saga è di 250 milioni di dollari. Solo questo primo film ne ha già incassati circa 280. Una macchina per fare soldi oliata a dovere ed efficientissima ma la qualità cinematografica è davvero infima. Un prodotto inconsistente destinato solo ai fans della saga.

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