Senza Lasciare Traccia di Debra Granik | Recensione

Pubblicato il 10 Novembre 2018 alle 20:00

Arriva in Italia Senza Lasciare Traccia, di Debra Granik, con protagonisti Ben Foster e Thomasin McKenzie.

Il bosco, quel luogo misterioso e senza tempo che è così strettamente legato a specifici generi cinematografici – il western, l’avventura, il fantasy – al punto che quando è trapiantato (scusate il gioco di parole) in altre atmosfere filmiche, in questo caso quelle del dramma, conferisce al racconto un impianto atipico, gli fornisce mezzi e strumenti che permettono cose nuove perché appartengono ad altre consuetudini. Il trucco sta essenzialmente nell’aspetto primordiale del bosco, della selva oscura, all’interno della quale il tempo sembra incapace di scorrere, come se fra gli alberi e le felci e le piante le ere dell’uomo non riuscissero a penetrare, a farsi largo nel verde, come se la società non fosse inclusa in quei posti arcani: l’idea è che, una volta nel bosco, tutto il resto cessa di esistere e il bosco diventi l’unico mondo all’interno del quale ai personaggi è concesso di muoversi.

In passato abbiamo visto i vari The Village, i vari The Lobster e tanti altri ancora … non ultimo Un Gelido Inverno, secondo film diretto dall’interessantissima regista americana Debra Granik, che è una che lavora poco ma quando lo fa riesce a farsi notare alla grande. L’esordio era arrivato nel 2004 (Down to the Bone) e poi, esattamente dieci anni fa, aveva preso una sconosciuta Jennifer Lawrence e l’aveva messa alla ricerca del padre nei boschi dell’altopiano degli Ozark, che erano quelli paludosi e stagnanti e white trash dell’omonima serie televisiva Netflix ma che venivano resi inquietanti e opprimenti dall’inverno.

In quel film il senso di frontiera western era molto più marcato, ma Senza Lasciare Traccia in un certo senso è una sorta di sequel ideale di quegli stessi concetti: ritroviamo il bosco (ma non è un bosco western, è quasi un luogo magico, trattato con tocco favolistico) e ritroviamo pure una figlia e un padre (ma il loro rapporto è diametralmente diverso: la Lawrance suo padre lo cercava mentre Thomasin McKenzie vuole disperatamente separarsi da Ben Foster, anche se non vuole ammetterlo a se stessa).

Will (Foster) è un veterano di guerra che vive nei boschi con sua figlia Tom (McKenzie). Lui non ce la fa proprio ad entrare nella società, vuole viverne costantemente ai margini, ha impedito a sua figlia di andare a scuola e le ha insegnato a leggere, a cacciare, a nascondersi, ad accamparsi. Lei non conosce il resto del mondo, o meglio lo conosce  e lo comprende ma solo nella misura in cui suo padre gliel’ha voluto spiegare. Quando però è il mondo a trovarli, forse Tom scoprirà che quello che le ha insegnato suo padre non è l’unico modo di vivere, forse oltre gli alberi c’è una quotidianità che non ha mai conosciuto e che vorrebbero esplorare.

Non c’è la fastidiosa ed irritante boria del brutto Capitan Fantastic di Matt Ross o dell’ancor più detestabile Into the Wild di Sean Penn, qui non si abbandona la società per un mal riposto e arrogante senso di superiorità, la si abbandona perché la si teme, se ne ha paura, e soprattutto non si riesce a comprendere quelli che la abbracciano con tanta facilità. E’ un film davvero bello Senza Lasciare Traccia, un film che prende il relativismo di Kynodontas e lo addolcisce, che prende le riflessioni sulla sofferenza del disturbo da stress post traumatico di A Beautiful Day e le tratta con una delicatezza sopraffina, e soprattutto riesce a mescolare i due argomenti in modo naturale, romantico e commovente.

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