Better Call Saul Stagione 4 | Recensione

Pubblicato il 10 Ottobre 2018 alle 20:00

Si è conclusa su Netflix la quarta stagione di Better Call Saul.

Ben prima che il sommo Guillermo Del Toro intervenisse sulla questione trasformando il dibattito in un affare mainstream, il sottoscritto lo aveva annunciato con la fanfara sui propri canali social discutendone con colleghi ed amici: al quarto tentativo, Better Call Saul è definitivamente riuscito a superare la serie madre Breaking Bad.

Non si tratta di ingratitudine. Non si tratta di sputare nel piatto in cui si è mangiato. E ovviamente non stiamo dicendo che, improvvisamente, da un giorno all’altro, la serie con Bryan Cranston e Aaron Paul sia sorpassata. Breaking Bad non è sorpassata, Breaking Bad è sempre Breaking Bad; solo che Better Call Saul è addirittura migliore.

E’ sempre lo stesso team creativo di BB, gli stessi autori, che negli stessi posti e nelle stesse location raccontano la stessa storia di declino morale di personaggi che, per quanto diversi, si somigliano persino, a cominciare dall’ambizione e dall’odio corrosivo che sentono nell’anima alla sola idea di essere secondi a qualcuno. Ma negli anni che sono trascorsi dal finale di BB a questa nuova stagione di BCS, quelle persone non hanno fatto altro che migliorare il proprio talento, affinarlo, aggiornare le tecniche e limare le abilità narrative, e oggi eccoci qui, di fronte a quella che è senza dubbio la miglior serie televisiva sulla piazza.

Si partiva da un grosso vuoto che era anche un grosso punto interrogativo, ovvero come avrebbero fatto gli autori a colmare l’assenza di Chuck. La rivalità fraterna è sempre stata il fulcro intorno al quale ruotava la vita di Jimmy, ed era lecito domandarsi che direzione Vince Gilligan e Peter Gould avrebbero dato alla serie dopo la dipartita del personaggio di Michael McKean: con la scaltrezza che li contraddistingue – sanno che i ritmi narrativi da bollitura a fuoco lento glielo avrebbero permesso – gli autori hanno semplicemente scelto di ignorare la questione, continuando a puntare la loro cinepresa su Bob Odenkirk e zoomare fino ad arrivare ad un primo piano dell’anima del suo personaggio.

La morte di Chuck non è la fine della lotta fra i fratelli McGill, l’ombra di Chuck è talmente opprimente da riuscire a proiettarsi contro Jimmy perfino dalla tomba, e Better Call Saul è sempre stata sublime nel raccontare come i sentimenti più o meno inconsci siano fondamentali nel comportamento umano e quanto siano capaci di influenzarlo. In un misto di senso di colpa, lutto e liberazione, Jimmy abbraccia il suo lato più meschino come gesto di ribellione ai danni della memoria di suo fratello, che fin da ragazzini lo aveva imbrigliato in una gara truccata in cui Jimmy avrebbe dovuto inseguire uno standard (quello di Chuck) che per lui sarebbe stato sempre irraggiungibile.  “Continueranno a sbatterti le porte in faccia perché a loro non importa di te”, dirà il protagonista ad una ragazzina nel corso dell’ultimo episodio, nella sua particolare versione di un discorso motivazionale. “Tu però non ti arrenderai, userai trucchi e stratagemmi e scorciatoie e non ti farai beccare, perché sei più in gamba di loro, e alla fine li guarderai dall’alto in basso.”

Un po’ come dall’alto in basso questa serie guarda tutte le altre: non si tratta solo di un enorme, complesso ed ottimamente approfondito studio caratteriale sui personaggi, ma anche di una grandiosa storia crime.

La guerra dei cartelli infatti in questa stagione si è fatta ancora più aspra, con Nacho e Mike alle prese coi rispettivi compiti affidati loro da Gustavo Fring, e Gustavo Fring sempre più invischiato nella lotta coi Salamanca (è terrificante e glaciale la maniera machiavellica con la quale decide di lasciare don Hector in quelle condizioni da semi-vegetale, quando un po’ di riabilitazione avrebbe potuto giovargli). Con ognuno di loro che prende le proprie decisioni, con ogni decisione che porta ad una diretta piccola conseguenza, piccola conseguenza che a lungo termine determinerà un’altra decisione, ben più importante della precedente e i cui effetti avranno conseguenze assai più gravi.

E’ così che funzionava Breaking Bad, è così che funziona Better Call Saul. Pessime decisioni hanno trasformato Walter White in Heisenberg, pessime decisioni stanno trasformando Jimmy McGill in Saul Goodman. Ma la storia del secondo non solo sembra più focalizzata, è addirittura raccontata meglio con abilità cinematografiche migliori, più calzanti e affilate rispetto al passato, che rievocano gesti e tecniche narrative dei grandi maestri del cinema e le rielaborano per il mezzo televisivo. Creando un ibrido di qualità inedita, nel frattempo.

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