Solo: A Star Wars Story | Recensione in anteprima

Pubblicato il 22 Maggio 2018 alle 15:00

Cresciuto come un ladruncolo nei bassifondi di Corellia insieme all’amica Qi’ra e divenuto un soldato imperiale, Han Solo decide di seguire l’esperto criminale Tobias Beckett e diventa un contrabbandiere, accompagnato dal wookie Chewbacca. A bordo del Millennium Falcon, la velocissima nave dell’affascinante giocatore d’azzardo Lando Calrissian, il gruppo deve effettuare un colpo pericoloso agli ordini dell’Alba Cremisi, l’organizzazione criminale guidata dal temibile Dryden Vos.

E’ morto Han Solo. Viva Han Solo. Sono trascorsi circa due anni e mezzo da quando abbiamo visto l’iconico contrabbandiere interpretato da Harrison Ford venire trapassato dalla spada laser cruciforme di suo figlio Ben, alias Kylo Ren, ne Il Risveglio della Forza, il film diretto da J.J. Abrams che ha rilanciato la saga sotto l’egida Disney. La Lucasfilm, tuttavia, è ben intenzionata a non farci sentire la mancanza del buon vecchio Han. Il ventottenne Alden Ehrenreich, che raccoglie il testimone da Ford, ha firmato per tre film e la sensazione è che non si tratti solo di un recasting per questa storia delle origini ma che si stiano gettando le basi per lo Han Solo degli anni a venire. E ve lo diciamo subito, Solo: A Star Wars Story non è uno standalone in senso stretto. Anzi, un paio di linee narrative vengono lasciate in sospeso spalancando la porta al sequel.

Il muro dei registi caduti per divergenze creative in casa Disney vede aggiunti i nomi di Phil Lord e Chris Miller, reduci dal successo di The LEGO Movie (nel quale comparivano alcuni personaggi di Star Wars). Stando a quanto trapelato dal set, i due sarebbero stati licenziati per aver lasciato troppo spazio all’improvvisazione e alla componente comica perdendo le redini del film. Il cinema è l’occhio che guarda e, alla Disney in generale, e alla Lucasfilm nello specifico, interessa che l’occhio guardi solo quello che i fan vogliono vedere.

E allora ti butti sull’usato sicuro, Ron Howard, diretto da George Lucas in American Graffiti e poi regista del fantasy Willow, scritto e prodotto dal demiurgo di Star Wars. Howard mescola bene l’onesta opera artigianale con lo sguardo d’autore, che gli ha fruttato un Oscar con A Beautiful Mind. Sa quando arrotolarsi le maniche sulla catena di montaggio al servizio della produzione e sa quando può permettersi un guizzo personale. Il suo stile classico è perfetto per il tono scanzonato, alla Errol Flynn, che deve avere un film sul giovane Han Solo, un western in salsa space opera venato da un umorismo misurato.

Howard, però, si siede troppo sulla struttura convenzionale del racconto e la trama diviene largamente prevedibile in ogni suo risvolto. Non tanto e non solo per il senno di poi degli appassionati. Se Han e Lando si giocano il Millennium Falcon a sabacc, i fan sanno già come andrà a finire, come pure l’avventura sulla rotta di Kessel o il suo rapporto con Chewbacca. Ma anche quegli elementi inediti, ancora da scoprire, non escono dai cliché dell’heist movie.

Giocano sul sicuro Lawrence Kasdan e figlio, sceneggiatori del film. Lawrence è forse lo scrittore che, più di ogni altro, forse anche più di George Lucas, conosce meglio Han Solo, gli ha dato spessore ne L’Impero colpisce ancora, voleva ucciderlo contro il parere di Lucas ne Il Ritorno dello Jedi e gli ha finalmente dato sepoltura ne Il Risveglio della Forza.

Durante la campagna promozionale del film, regista e produttori hanno detto di non aver chiesto ad Alden Ehrenreich di imitare Harrison Ford ma di dare una propria interpretazione al personaggio. Eppure sembra che il giovane attore abbia avuto bisogno di un coach di recitazione durante le riprese. Solo non è un personaggio letterario come 007 o Sherlock Holmes, né fumettistico come Batman o Spider-Man, a cui un attore può dare la propria chiave di lettura. Solo nasce con Harrison Ford, è stato costruito da lui, viene disegnato col suo volto nei fumetti dell’universo espanso e le action figures vengono scolpite coi suoi tratti. Come si fa ad interpretare Han Solo senza imitare Ford? E’ comprensibile che Ehrenreich possa essere andato in confusione. E non stiamo parlando dell’ultimo arrivato, di un imberbe inesperto, ma di un attore svezzato da Coppola padre e figlia, passato per le mani dei fratelli Coen e di Woody Allen.

Ha il mezzo sorriso beffardo di Ford, la somiglianza c’è, coadiuvata dalla cicatrice finta sul mento. Gli manca però il carisma necessario per catalizzare l’attenzione del pubblico, per diventare davvero magnetico. Forse lo acquisterà strada facendo, quando sarà più uomo e meno ragazzo. Il suo Han è un Robin Hood family friendly decisamente disneyano, romantico e politicamente corretto, più eroe che antieroe, ed ogni impresa criminale è giustificata. Tuttavia nel finale lo aspettano un paio di schiaffoni (telefonati) che getteranno le basi per la personalità cinica che è destinato a sviluppare.

I personaggi secondari non escono dalle righe. Donald Glover è bravo in tutto quello che fa. Recita bene, scrive bene, canta bene, balla bene. Potrebbe mettere in ombra il resto del cast nel ruolo di Lando Calrissian ma il personaggio è sottoutilizzato e poco approfondito. Si limitano al compitino anche Emilia Clarke (Game of Thrones, Terminator: Genisys) e Woody Harrelson (Zombieland, Hunger Games). La prima ciurma di Beckett è più accattivante di quella che viene a formarsi dopo, peccato che duri poco. Sempre ottimo Paul Bettany nel ruolo del cattivo Dryden Vos. Più forzoso l’inserimento di Enfys Nest e della sua gang.

Howard piazza due o tre sequenze memorabili, dirette con mestiere e montate con buon ritmo, l’inseguimento iniziale tra le strade di Corellia, la rapina al treno, un po’ western un po’ Mission: Impossible, e l’epica sequenza della rotta di Kessel. Probabilmente, la scena che resterà scolpita maggiormente nel cuore dei fan sarà il primo incontro tra Han e Chewbacca. La colonna sonora di John Powell funziona quando entrano i temi classici della saga ma è piuttosto anonima sulle nuove sonorità. E’ il primo film della saga privo di misticismo e spade laser e, nel finale, c’è un colpo di scena (degno di una sequenza durante i titoli di coda della Marvel) che manderà in confusione i fan della saga cinematografica e sarà più comprensibile ai fruitori dell’universo espanso. Gli appassionati avranno quello che vogliono e c’è anche qualche momento di buon cinema ma è come rileggere per l’ennesima volta un romanzo che sappiamo a memoria. Han deve ancora imparare a sparare per primo.

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