Non Stancarti di Andare | Recensione

Pubblicato il 8 Dicembre 2017 alle 10:00

La Terra è la mia patria e l’umanità è la mia famiglia – K. Gibran

Iris e Ismail hanno deciso di traferirsi a Verezzi, in Liguria, nella casa della nonna materna di lei. Ismail però prima di sistemarsi vuole tornare a Damasco per sistemare le ultime faccende e salutare i suoi genitori. Proprio in quei giorni però iniziano i primi disordini in Siria e Ismail inzia un doloroso viaggio per tornare in Italia, perdendo tutto e da clandestino, mentre Iris scopre di essere incinta.

Inizia così una narrazione parallela che unisce il destino violento ed imprevisto di Ismail con la gravidanza di Iris mentre riviviamo il loro innamoramento proprio in Siria e facciamo la conoscenza di una umanità eterogenea: dal missionario cristiano in Siria innamorato dell’Islam, alla madre di Iris distaccata e stravagante fino alla mentore sempre della ragazza che trova un amore inaspettato.

Questo è sostanzialmente l’incipit di Non Stancarti di Andare nuovo lavoro della fortuna coppia formata da Teresa Radice, testi, e Stefano Turconi, disegni, che ritornano a misurarsi con un graphic novel dopo il successo de Il Porto Proibito e la “pausa” del libro all-ages Orlando Curioso.

Bisogna subito chiarire due aspetti di questo libro. Il primo è la sua densità – che non si misura in termini di pagine seppur si tratta di un volume di 320 pagine – e il secondo è il suo carattere decisamente autobiografico, istanza che si avverte nel corso della lettura ma che trova conferma poi nelle pagine finali, quasi una post-fazione, dell’autrice che si mette a nudo rivelando appunto quanto le vicende del graphic novel siano verosimili e cioè come i personaggi e le vicende siano stati filtrati da esperienze vere e vissute.

Questi due aspetti sono complementari poi ai temi portanti del racconto: la distanza e l’esistenza.

Se i due innamorati sono separati da tragiche cause di forze maggiore, la loro distanza è dolorosamente personale ma serve anche come volano per parlare di altri tipi di distanza: quella fra oriente ed occidente artefatta da presunte incompatibilità religiose o quella fra madre e figlia separate da una incomunicabilità la cui chiave è il passato.

Ecco che quindi il tema del viaggio assume i connotati di una panacea: viaggiare significa ridurre le distanze, ma viaggiare significa soprattutto conoscere e conoscere significa eliminare l’ignoranza. Poco importa che il viaggio sia fisico o emotivo – Iris va in Siria ma rivive anche la storia di sua madre attraverso delle lettere – il risultato è per forza di cose lo stesso.

Il viaggio però è anche metafora della gravidanza che la protagonista, e inevitabilmente il suo bambino, si trovano ad affrontare senza il compagno ma circondata dall’amore di amici e conoscenti. Mentre la futura mamma si concede una corrispondenza con il bimbo dolce e carica di aspettative.

Come un fiume in piena quindi la Radice sfrutta questi temi per introdurre personaggi funzionali alla storia ma forieri di riflessioni su temi di scottante attualità e valore socio-culturale.

La già citata religione ad esempio diventa viatico per parlare della ricerca di una spiritualità personale ed ecumenica – con la figura del missionario Saul – mentre l’amore materno è lo sfondo del difficile rapporto fra Iris e sua madre Maite in cui aleggiano i fantasmi di un estremismo politico che, consegnato ai libri di storia, spesso dimentica le cicatrici lasciate sulla gente comune. L’amore, in senso romantico, è invece dipinto come una forza invisibile ma inesorabile: spinge Ismail a sopportare il viaggio brutale per ricongiungersi con Iris ma è anche forza universale che non fa distinzioni di genere con la mentore di Iris, Janis, che “rivive” nell’amore per un’altra donna.

Mentre una delle più grandi tragedie del nostro tempo – l’esodo di migranti – viene descritto in maniera realistica, cruda ma non gratuita, dando voce e consistenza ai corpi che invece la cronaca ci ha insegnato a spersonalizzare.

Alla fine di questi incredibili viaggi ci aspetta ovviamente un lieto fine ma non privo di note agrodolci con le ferite lasciate nella coscienza di Ismail e la coriacea forza di volontà di Iris che convergono nella nascita di un “amore minuscolo” mentre tutti i personaggi si ritrovano legati fra presente, passato e futuro in una serendipità serenamente cosmopolita.

Tocca a Stefano Turconi dare forma alla densità di contenuti della scrittrice. Il disegnatore con il suo caratteristico tratto cesella figure realistiche ma non troppo, delicate nella loro stilizzazione “cartoonesca” mentre rincorre il fiume in piena delle parole modellando la tavola che si fa fitta per contenere i dialoghi oppure si distende per affrescare mondi in cui vengono appuntate didascalie poetiche e sognanti.

Il colore poi gioca un parte fondamentale nella narrazione ricca di rimandi e flashback del libro: si usa una paletta avorio per un flashback degli anni ’30 scendendo verso i bronzi e gli arancioni degli anni ’70 con il tratto che si fa più spesso quasi a rimarcare l’indelebilità delle esperienze.

Mentre Ismail e la Siria vivono di gialli e colori pallidi, Iris e l’Italia sono blu e verdi riposanti e sicuri che si scontrano con i neri della traversata dello stesso Ismail come clandestino.

Turconi forse realizza il suo lavoro migliore in termini di sinergia fra tratto, colore e illustrazione.

Non Stancarti di Andare è un libro stupendamente complesso. Dolce e realistico, ambizioso e personale e la cui cifra è l’estrema positività: l’incrollabile convinzione che il mondo possa essere un posto migliore, frutto di un cambiamento attuato prima di tutto su noi stessi, e da donare poi a chi ci seguirà che potranno vivere ed amare senza barriere e con leggerezza.

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