Providence: un capolavoro horror di Alan Moore ricco di riferimenti storici e letterari – Recensione

Pubblicato il 2 Dicembre 2015 alle 11:15

Conoscete l’America invisibile? Volete esplorarla? Siete pronti a incontrare strani individui che sembrano usciti dall’immaginazione di H.P. Lovecraft? Allora fatevi guidare dal sommo Alan Moore, autore dello straordinario Providence!

A volte le recensioni risultano difficili. Succede quando si ha a che fare con opere complesse, piene di significato e ricche di spunti di riflessione. E’ il caso del primo volume di Providence, monumentale opera del Bardo di Northampton, il sommo Alan Moore. Chiunque conosca la produzione del Magus sa che quasi sempre i suoi lavori offrono tantissimi motivi di interesse e Providence rientra certamente nel discorso. Di conseguenza, il lettore è avvisato: è impossibile analizzare tutti gli elementi in essa presenti, per ovvi motivi di spazio.

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Di solito si tende a dire che Alan Moore è un genio e che ogni suo fumetto è un capolavoro. E’ un luogo comune ed è indubbio che nei suoi confronti ci sia spesso, anche da parte di chi scrive, un pregiudizio più che favorevole. Tuttavia, stavolta non è eccessivo definire Providence un capolavoro e il signor Moore un genio. Anzi, nei prossimi anni Providence sarà messo sullo stesso piano di Watchmen. Providence rappresenta infatti per l’horror ciò che Watchmen ha rappresentato per il genere supereroico.

Negli ultimi anni Alan si è avvicinato al complesso e inquietante universo narrativo di H.P. Lovecraft, forse lo scrittore più influente dell’horror grazie alle sue fantasie imperniate su Chthulhu, il Necronomicon e così via. Già con il racconto Il Cortile, in seguito adattato in versione fumettistica, e con il controverso Neonomicon, Moore aveva iniziato a delineare storie basate sulle idee del romanziere. Con Providence, però, va oltre e cerca di esplorare totalmente l’immaginario di Lovecraft.

Lo fa tramite il personaggio principale della serie, Robert Black, giovane omosessuale ebreo che fa il giornalista a New York durante il periodo del Proibizionismo. E’ lui che viene a conoscenza dell’esistenza di un libro maledetto che fa impazzire chiunque lo legga. Deciso ad avere informazioni sulla faccenda, incomincia a fare ricerche, scoprendo che il mondo in cui si è illuso di vivere non è quello che sembra. E’ ciò che Moore definisce ‘America invisibile’, una terra popolata da occultisti, sette segrete e strani individui che non paiono avere fattezze umane. E mentre Robert si addentra in questo mondo invisibile, scopre cose su se stesso e sulla propria sessualità.

Incesti, perversioni, rituali macabri: sono alcuni degli elementi presenti in Providence e Moore, con il pretesto di una storia che vuole essere un omaggio a Lovecraft, ne approfitta per miscelare realtà e finzione. Descrive infatti gli Stati Uniti con preciso rigore storico e non mancano allusioni ai nascenti movimenti sindacali degli inizi del Novecento o alla crescente minaccia del nazismo. L’America di Moore (e di Lovecraft) è una nazione tormentata dal razzismo, dalla repressione sessuale e dalle devianze che si celano nelle persone apparentemente irreprensibili. Nello stesso tempo, tramite Robert, Moore evidenzia quegli aspetti della fiction lovecraftiana appena accennati e in particolare la concezione malata del sesso, di impostazione omoerotica, e il latente disprezzo per gli stranieri.

E non mancano altresì innumerevoli riferimenti filosofici e letterari, a cominciare dalla prima frase che apre il volume: ‘Caro Jonathan, che nottata! Sarei rimasto in eterno ad ascoltarti mentre leggevi Huysmans’, ed è un incipit che non può non coinvolgere. E abbondano gli accenni a svariate tradizioni esoteriche, frutto del background occultistico di Moore, alla narrativa pulp, all’immaginario cinematografico dei primordi. Alan comunque non è pedante e ogni richiamo culturale ha un senso preciso nell’ambito della trama che ha deciso di narrare.

Providence può risultare a tratti impegnativo ma non è noioso e l’atmosfera di suspense e di tensione non concede tregua al lettore. Le sequenze incentrate su un sotterraneo usato per compiere riti innominabili e che Moore collega a certi concetti junghiani è sconcertante; e lo stesso vale per quella del sogno di Robert o l’altra, decisamente destabilizzante, del suo incontro con un’allucinante famiglia di contadini dediti ad accoppiamenti incestuosi e pratiche pagane. Moore inoltre inserisce i primi quattro capitoli della serie nel contesto de Il Cortile e di Neonomicon, creando quindi un vero e proprio universo.

E strabiliante è pure la scrittura del Magus. Con Providence, Alan raggiunge vette espressive notevoli e, come nel caso di Watchmen e di The League of Extraordinary Gentlemen, ogni capitolo ha un’appendice in prosa di grande valenza letteraria. Le pagine del canovaccio di Arthur hanno una profondità coinvolgente e il testo dell’opuscolo di un pazzesco culto religioso è scritto in un linguaggio fatto di giochi di parole e di neologismi che fanno pensare a ‘Pog’, uno dei più celebri episodi di Swamp Thing, o al più recente Crossed.

I disegni di Jacen Burrows, accurati e dettagliati come non mai, rendono pienamente giustizia alla sceneggiatura. Il penciler, con uno stile fluido, elegante e plastico, rappresenta in maniera efficace la banalità degli ambienti quotidiani evocati da Moore. Una banalità che però cela orribili pulsioni e che è in fondo ciò che lo scrittore ha inteso mettere in evidenza. Il suo tratto è valorizzato dai colori tenui, oscuri, quasi impressionisti del bravo Juan Rodriguez che lo rendono ulteriormente suggestivo.

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Come concludere, quindi? Dobbiamo per l’ennesima volta scrivere che Alan Moore, scrittore spesso al centro di polemiche, sovente poco simpatico a causa delle sue taglienti prese di posizione, dimostra di nuovo di essere il più grande scrittore di comics a livello mondiale, con buona pace di coloro che vorrebbero ridimensionarlo? Ebbene sì. Inutile fare giri di parole. Alan Moore è sempre il più grande scrittore di comics a livello mondiale.

Basta leggere Providence per comprenderlo, peraltro proposto da Panini Comics in un’edizione impeccabile per cura editoriale e qualità di stampa (sebbene, ahimè, priva dell’introduzione originale di Moore) e per l’ottima traduzione del bravissimo Leonardo Rizzi che è riuscito nel non facile compito di adattare in italiano i testi lirici e intensi del Magus. Insomma, Providence, lo ripeto, è un capolavoro ed è un delitto trascurarlo.

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