Recensione: L’uomo della Tundra

Pubblicato il 21 Gennaio 2011 alle 10:00

Autore: Jiro Taniguchi
Casa Editrice: Coconino Press
Provenienza: Giappone
Prezzo: € 17,00; 17×24; 248 pp. b/n; brossurato


L’uomo della tundra è un’opera esemplare del lavoro di Jiro Taniguchi, nelle sei storie che compongono il volume trovano spazio la sua passione per la cultura occidentale, le sue riflessioni sui grandi temi della vita e degli uomini, e soprattutto l’amore per gli animali e per la natura in generale (come già dimostrato ad esempio nel bellissimo Seton).

Il viaggiatore delle terre ghiacciate” è ambientata nelle gelide regioni del Klondike di fine ‘800, e si ispira ed è un omaggio ai romanzi di Jack London, che infatti rivive in uno dei due cercatori d’oro protagonisti, i quali, colti di sorpresa da una tormenta di neve durante una battuta di caccia, vengono salvati da un indigeno della popolazione locale. Facendo conoscenza con lui e sentendo la sua concezione della natura e della montagna, in loro nascono una nuova consapevolezza di quei luoghi, e soprattutto dei dubbi sulla legittimità di quello che stanno facendo. E sarà proprio questa riflessione sul diritto di depredare il fiume per l’oro, di stravolgere la vita degli animali e della gente del posto soltanto per arricchirsi, a mettere Jack contro i suoi stessi amici, già accecati dall’ambizione e avvelenati dalla sete di ricchezza. In questa storia, che prende spunto da un’opera mai compiuta di London, i temi predominanti sono il rispetto e la devozione spirituale per i luoghi e le creature che abitano gli immensi territori del nord, mentre nella seconda “La bianca terra desolata” ci troviamo di fronte sostanzialmente ad un thriller venato di horror.

Poco più in là rispetto al Canada, in Alaska, due uomini trasportano la salma di un minatore attraverso una landa selvatica, con lo scopo di riportarla in paese. Il loro viaggio però è funestato dalla spaventosa presenza di un branco di lupi famelici che li segue, e che sbrana poco alla volta l’intera muta di cani da slitta. Questa è una delle vicende che funziona meglio, stringendo pagina dopo pagina l’assedio attorno ai protagonisti, generando una terribile suspense che nelle ultime pagine diventa insostenibile. La natura qui non è più ideale e ispiratrice, diventa una feroce assassina, un incubo nel quale l’uomo è inerme, una forza alla quale si può solo, inevitabilmente, soccombere.

E anche in “Verso la montagna” il tema è ancora la sfida fra uomo e natura selvaggia, ricondotta però questa volta alla dimensione drammatica dell’antica caccia matagi. È infatti uno di questi cacciatori, insieme al suo fedele cane, il protagonista del tentativo di vendetta ai danni dell’orso che anni prima aveva brutalmente ucciso suo figlio. La lotta fra il vecchio e l’animale qui si tinge dei valori e delle tradizioni orientali, e viene descritta quasi in modo sacro.

Con “L’isola di Kaiyose” lasciamo la montagna per spostarci in un minuscolo paesino di mare, dove, durante le sue vacanze estive, il piccolo Takashi si fa dei nuovi amici e diventa più forte, sfidando le onde in tempesta e rifugiandosi poi sull’isola che dà il nome al racconto. Stando con Aye, la ragazzina che si prende cura di lui, impara a non avere più paura e ad entrare in contatto con il mondo, uscendo dal suo guscio.

Shokaro” invece è il nome del palazzo in cui è ambientata la quinta storia, quella che si discosta maggiormente dal tema del volume. È infatti autobiografica, e racconta in prima persona di un mangaka che è in tutto e per tutto il giovane Taniguchi. Infatti, come viene raccontato qui (e in Kareta heya – La stanza arida) l’autore abitò in una camera di un ex bordello durante il suo periodo di assistente, ma qui si sentiva strano, a disagio, come in un sogno. Uno stato d’animo che cercò di imprimere sulla sua prima opera: Cloroformio, con la quale partecipò (ma non vinse) al premio Big Comic nel 1970. In questo caso l’autore, più che sulla natura, indaga sul rapporto fra l’uomo e l’ambiente, le suggestioni e le sensazioni che i luoghi, anche artificiali, comunicano attraverso sogni e visioni.

L’ultima storia “Ritorno al mare” racconta invece di un biologo che studia le balene nel Mare di Bering. La sua propensione scientifica si bilancia con quella del suo socio inuit Aguya, appartenente ad una popolazione ricca di tradizioni popolari e racconti sciamanici. Quando Old Dick, la balena con cui il biologo ha negli anni stretto un rapporto che va oltre il semplice studio, comincia il suo viaggio solitario verso la morte, è l’occasione per i due di scoprire se la leggenda sul “cimitero delle balene” situato in fondo al mare sia vera. Alla fine fra scienza e magia Taniguchi fa vincere la poesia, in un epilogo onirico e struggente, in cui torna a guardare alla natura con un’aura di ammirazione e spiritualità.

Superlativo nel rendere l’aspetto di volta in volta selvaggio, dolce, spaventoso, cruento, delicato o struggente dei vari episodi, il tratto particolareggiato e finissimo dell’autore ha la miglior dote nel creare l’atmosfera giusta, l’ambientazione più reale possibile, di modo da trasferire al lettore tutte le sensazioni dei personaggi. È un realismo emozionante il suo, fatto di espressioni fortemente comunicative, slanci improvvisi, figure dinamiche e una costruzione serrata della tavola. Taniguchi sta sempre attento a rendere protagonista il paesaggio, l’ambiente, con le sue sfumature e i suoi rumori, le variazioni meteorologiche e la loro potenza. Alterna sempre le figure umane alle vedute panoramiche, come a ricordare la perenne sfida che si anima su queste pagine. Se le storie ogni tanto hanno delle pecche come nei dialoghi talvolta troppo meccanici, i disegni sono perfetti, e da soli valgono il prezzo del volume, che è comunque un po’ caro, considerando le specifiche tecniche e la mancanza di approfondimenti o note, se non quelle a fondo pagina.

In definitiva non il lavoro migliore o più originale di Taniguchi, ma sicuramente una lettura interessante, che se in alcuni punti zoppica, in altri sa regalare lampi sorprendenti.


Voto: 8,5

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