Miracleman n. 16 – Recensione

Pubblicato il 7 Luglio 2015 alle 11:10

Si conclude una delle più grandi opere del revisionismo supereroico con il sedicesimo numero di Miracleman! Il genere umano ha raggiunto finalmente l’Utopia e tutto è bene quel che finisce bene… o no? Dipende dai punti di vista! Non perdete l’ultimo fondamentale tassello del capolavoro di Alan Moore!

Se questo mese c’è un albo il cui acquisto è un must è certamente l’ultimo, straordinario numero di Miracleman, la sconvolgente saga supereroica del maestro Alan Moore che inaugurò il filone revisionista degli anni ottanta. E questo tassello conclusivo, in un certo qual modo, ne sancisce la fine, portando alle estreme conseguenze logiche il processo di demistificazione applicato al concetto stesso di supereroe. Se al loro apparire personaggi come Superman e compagni erano infatti sempre stati presentati in una luce solare, ingenua, ottimista e positiva, con Miraclemen ciò non fu più possibile.

Riprendendo un vecchio character di Mick Anglo, Marvelman, eroe piuttosto amato in Gran Bretagna, il Bardo di Northampton cercò di rispondere a una domanda fondamentale: come sarebbe un supereroe se esistesse realmente? Coloro che hanno seguito l’attuale edizione Panini Comics sanno che sarebbe un essere alienato dal resto della società, sostanzialmente disumano, sebbene animato da buone intenzioni. Il mondo descritto da Moore è cupo, distorto, compromesso dalla spietatezza della politica thatcheriana degli anni ottanta, e Miracleman è costretto, suo malgrado, ad adattarsi al contesto, specialmente dopo aver scoperto che tutto ciò che ricordava era solo una menzogna.

Con l’inizio dell’ultima, allucinante sequenza dal titolo ‘Olimpo’, Moore va oltre e descrive un Miracleman assimilabile a una divinità. Non ha più nulla di umano, non c’è niente che lo leghi alle persone comuni. Dopo la sconfitta del suo acerrimo nemico, decide di compiere un passo decisivo: creare una società perfetta, l’Utopia vagheggiata da filosofi, artisti e pensatori nel corso dei secoli. Con l’ausilio di Miraclewoman e degli alieni Qys il protagonista riesce quindi a raggiungere il suo obiettivo. La terra si trova in condizioni buone. La tecnologia consente a chiunque di manipolare il proprio corpo e di sviluppare super poteri. La povertà è scomparsa. Il crimine è quasi inesistente. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque?

Assolutamente no. Perché la società descritta da Moore è tutto tranne che umana. E’ una specie di ‘campo di concentramento senza lacrime’, per usare una definizione di Huxley, in cui tutti si illudono di essere felici e soddisfatti e non si accorgono di aver perso il libero arbitrio. Miracleman non è malvagio ma ha instaurato una specie di morbida dittatura e il concetto di democrazia è ormai obsoleto. Ognuno può essere libero di fare ciò che desidera perché è Miracleman a permetterlo. E’ la concessione di un supereroe assimilabile a una sorta di ubermensch nietzschiano. Non c’è idealismo in lui e la sua mancanza di empatia nei confronti della moglie di Micky Moran, il suo alter ego, lo dimostra.

I testi di Moore sono eccezionali. Profondi, lirici, intensi, di valenza letteraria, ricchi di immagini, similitudini e metafore a dir poco geniali. In rete certi sedicenti esperti di fumetti, credendo di essere anticonformisti, affermano che il Magus non è poi un granché, che non sa scrivere e che tante sue opere sono caratterizzate da un eccesso di intellettualismo che lascia il tempo che trova e che, a conti fatti, è noioso. Certo, se qualcuno si aspetta procioni, lotte da orbi e altre amenità, leggendo Miracleman rischia di rimanere deluso. Ma i lettori non compromessi dall’ignoranza e con capacità di raziocinio si renderanno conto dell’assoluto valore di un’opera giustamente considerata una pietra miliare del fumetto mondiale.

E noteranno il talento di uno scrittore che ha cercato di ampliare le possibilità espressive di quella forma di comunicazione chiamata fumetto, riuscendoci in pieno. L’albo è da tenere d’occhio pure per gli straordinari disegni di John Totleben. All’epoca il penciler stava perdendo la vista e se si osserva il lay-out creativo, l’impostazione lisergica e psichedelica delle pagine e la rappresentazione di un carismatico e algido Miracleman, della perfezione fisica di Miraclewoman, della mostruosità degli alieni e dei paesaggi lividi e sporchi di una Londra ridotta a un cumulo di macerie non potrà non inchinarsi di fronte alla sua arte. Miracleman per ora si ferma qui e dopo l’estate inizierà il ciclo successivo firmato da un altro autore leggendario, il Neil Gaiman di Sandman, che non farà rimpiangere Alan. In ogni caso, questo albo (e l’intera serie), lo ripeto, è un must. Kimota!

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