Dylan Dog n.317: L’impostore – Recensione

Pubblicato il 4 Febbraio 2013 alle 14:00

Giunge al numero 317 il mensile dell’indagatore dell’incubo

L’impostore – Dylan Dog n.317

Autori: Alessandro Bilotta (testi), Nicola Mari (disegni)

Casa editrice: Sergio Bonelli Editore

Genere: Horror

Paese: Italia

Prezzo: € 2,90, pp. 96, b/n

Data di pubblicazione: Gennaio 2012

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La copertina di Angelo Stano riassume le prime cinque tavole dell’avventura dylaniata che a loro volta più che un leitmotiv (il rapporto di uguaglianza tra gemelli poi declinato tra imitato/imitatore) rappresentano in estrema sintesi La trama di quest’albo che chiude il gennaio 2013 delle pubblicazioni made in Bonelli.

Il gemello malvagio/assassino che personifica il lato oscuro dell’umana natura o l’imitatore schiavo del suo talento a tal punto da perdere la propria identità sono temi a dir poco sfruttati dalla letteratura e dal cinema.

Non è nemmeno importante riassumere in poche righe una trama che costringe il lettore non tanto a sospendere quanto proprio a infilarsi nel taschino l’incredulità qui giocata su l’uso (o meglio l’abuso) del segno del disegnatore di turno, che pare quasi costretto a doverci ricordare che stiamo leggendo un fumetto.

Fatto sta che da tavola settanta la trama imbastita da Bilotta, sino a quel momento non parca di spunti interessanti ben resi dal segno dark di Mari, ha come un repentino arresto per lasciare spazio alle rimanenti occupate da uno spiegone colossale chiuso da un finalino talmente incredibile da non essere non dico reale, ma nemmeno realistico.

Perché spiegone colossale? Al di là della lunghezza, per nulla giustificata da un dettagliato flashback, che non rivela nulla di particolarmente interessante o difficilmente desumibile dalle tavole di apertura prima menzionate, ci troviamo di fronte a tre – dicasi TRE – personaggi tra i quali individuare l’assassino di turno, a meno di non considerare sospetti Bloch, Groucho (qui ridotto a brevi comparsate) e lo stesso Dylan Dog.

Nel finalino di tre tavole Bilotta arriva a chiedere a Mari di ritrarre l’antagonista di turno in maniera identica al suo compagno di cella così da potersi baloccare sino all’ultimo con il tema dell’imitazione camaleontica, cosa che al disegnatore ferrarese riesce particolarmente bene ma che affatica il lettore già sottoposto alla dura prova del menzionato spiegone.
Come il nostro “insospettabile” assassino abbia imitato la statura e i tratti somatici del suo compagno di cella resta l’unico vero mistero che non ci viene svelato, ma arrivati a quel punto poco importa…

Il segno di Nicola Mari è l’elemento di maggiore attrattiva di un albo dalla trama esile e sin troppo didascalica. Alcune scene abbastanza sanguinolente ma soprattutto un disegno più impastato nel nero di quanto visto nelle sue ultime prove su Dylan Dog (sono comunque lontanissimi i tempi del suo impressionante esordio con il numero 123, Phoenix) e quell’espressività malsana, che Mari riesce a infondere sia ai personaggi positivi che –ovviamente -a quelli negativi, rende questo “L’impostore” un albo quantomeno leggibile.

Sul perché il talentuoso Alessandro Bilotta (Giulio Maraviglia, La Dottrina, Valter Buio) si sia impantanato con una simile sceneggiatura possiamo solo immaginarlo attingendo alle ipotesi più ovvie: Dylan Dog è pur sempre un character con centinaia di avventure alle spalle e con una tutta una serie di paletti narrativi a circondarlo da spaventare qualsiasi sceneggiatore che non voglia (o possa, sarebbe meglio dire) mettersi nello stato d’animo di abbatterne qualcuno.

Anche se ormai ci siamo tristemente abituati a questo Dylan Dog che fa il verso a se stesso e al suo (glorioso) passato rimane tuttavia l’impressione generale che lo sceneggiatore non abbia saputo ben distribuire la trama ideata sulla lunghezza delle classiche novantasei pagine. Un’altra ciambella senza il buco.


Voto: 5,5

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